Leggere ad alta voce ci fa riscoprire la fisicità delle parole. Leggere con i polmoni e col diaframma, con la lingua e con le labbra è ben diverso dal leggere con i soli occhi. Il linguaggio diventa una parte del corpo, e forse è per questo che c’è sempre una strana tenerezza, quasi una qualità erotica, in quelle scene di lettura ad alta voce, in compagnia, che incontriamo spesso nei romanzi di fine settecento. Le parole non sono solo parole. Sono mente e respiro della persona che legge, la sua anima persino.
L’articolo del New York Times di qualche giorno fa (Some Thoughts on the Lost Art of Reading Aloud), da cui è tratto questo brano, metteva a confronto l’ascolto solitario di oggi – musica, podcast e audiolibri – con due auricolari che ci separano dal mondo e le letture collettive che si sono fatte per secoli, schierandosi naturalmente per le seconde.
Per uno scrittore professionale la lettura ad alta voce non sarà proprio magica, ma utilissima sì. Ci pensavo in questi giorni, in cui ho passato molte ore in aula, sia a scrivere sia a leggere.
Quando ho cominciato a tenere laboratori di scrittura consideravo la lettura ad alta voce una specie di ripiego: stampare i testi di tutti per rivederli e correggerli era troppo laborioso e faceva perdere un sacco di tempo. Così ho optato per la lettura ad alta voce, che considero oggi la forma più bella e coinvolgente di editing collettivo. Da sola l’ho sempre adottata, ma in gruppo è tutta un’altra cosa. Estenuante ma formativa, anche per chi insegna.
Ci accorgiamo non tanto e non solo degli errori più grossolani come la sintassi complicata, ma soprattutto di quelli sottili, che così facilmente sfuggono all’occhio: le allitterazioni e le ripetizioni fastidiose, l’ordine goffo delle parole, l’inciso che si può spostare, i cliché e le ovvietà da eliminare, le parole ridicole da pronunciare, la rigidità dello stile.
Se il testo corre e fluisce come un fiume tranquillo, precipita come una cascata, saltella come un ruscello, è contenuto nei muri di una diga o si esaurisce in un povero rivoletto, è soprattutto il suono a dirtelo.
Urca! Grandissima idea, l’editing collettivo. Ti copierò.
😉
Grazie. All’infinito.
Sì, dovremmo dedicarci di più all’editing orale. Confesso che mi riprometto spesso di farlo, ma poi finisco per rinunciarci.
Tutte valide le tue osservazioni sull’editing orale. Sulla “perduta arte” della lettura pubblica ad alta voce, dissento. Essa è l’anima stessa dei festival letterari, e non c’è scrittore che ignori il fatto che gli verrà chiesto di leggere brani di quanto scrive. Per quanto riguarda la poesia, dico solo: “Slam”. Articolo retorico quello del NYT, e pure un po’ conservatore!
Paolo S