Fronte, come quella che abbiamo sulla sommità della faccia. O come quello della guerra.
Occhio, per vedere. Oppure quello del ciclone. O come quello di bue dell’uovo al tegamino.
Ciglio, come la protezione dell’occhio. O come quello della strada. O del precipizio.
Molare, come il dente. O come rifinire il vetro.
Incisivo, ancora un dente. O qualcosa che resta impresso.
Bocca. Per mangiare, sbadigliare, sorridere. O bocca di rosa, o bocca del fiume.
Labbro che bacia o labbro di ferita.
Mento: estremità del viso o dico bugie.
Stamattina, durante la sua master lecture all’università di San Marino, Annamaria Testa ha invitato tutti noi che stavamo lì ad ascoltarla a esplorare quella piccola e familiare superficie che è la nostra faccia.
È bastato per farci toccare con mano quanto è importante il contesto per dare il giusto significato alle parole più semplici.
Da lì il cerchio del contesto si allarga: dalle parole alla frase, dalla frase al periodo, dal periodo al testo completo, dal testo al suo supporto, alla situazione comunicativa.
E se passiamo dal testo al discorso, il cerchio si allarga ancora ai gesti, alla faccia e all’abbigliamento di chi lo pronuncia.
La lezione riguardava la creatività, anzi “due o tre cose che so di lei”, titolo della prima slide.
Creatività che non è prerogativa di artisti, pubblicitari e stilisti ispirati, ma appartiene a ognuno di noi quando ci esprimiamo con le parole. Parlando e scrivendo.
Possiamo quindi esercitarla anche nel quotidiano scegliendo e ordinando le parole con cura e consapevolezza, in funzione del nostro interlocutore, della situazione e dell’obiettivo che abbiamo in mente.
Più parole conosciamo, maggiore la nostra possibilità di scelta, più raffinata e sottile la nostra espressione.
La creatività del linguaggio si esercita in economia: bastano piccoli spostamenti, un segno di interpunzione al posto di un altro, un font, un colore, uno sfondo, l’accostamento di un’immagine a dare una nuova tonalità espressiva, a cambiare il significato o a rivoluzionare il senso di una frase.
Chi ha letto Le vie del senso di Annamaria Testa ne ha un’idea: una frase semplicissima come “Bella giornata oggi” può esprimere gioia, tristezza, rabbia, incredulità e mille altre cose a seconda delle piccole trasformazioni che subisce al suo interno o nello spazio della pagina.
PS Il sito sulla creatività di Annamaria Testa è Nuovo e Utile.
Ciao Luisa,
leggendo il tuo post mi è venuta in mente una frase di Emily Dickinson legata alle parole: “Una parola muore appena detta: dice qualcuno. Io dico che solo in quel momento comincia a vivere.”
Un abbraccio, Elena
Ciao Luisa,
proprio oggi sbirciando il tema che stava scrivendo mio figlio di 9 anni ho notato un uso indifferenziato del verbo fare: ci hanno fatto vedere, ho fatto merenda, ecc. Forse la scuola ha un ruolo fondamentale nella scoperta della ricchezza della nostra lingua… o è già tanto che i piccoli rispettino le doppie? Mah!