Fin da molto piccola, durante i miei soggiorni estivi, sapevo che la terra dell’Aquila poteva mettersi a tremare da un momento all’altro. In realtà, in tanti anni, non è mai capitata neanche una piccola scossa, ma il mito pauroso del terremoto mi ha sempre accompagnata, dissolvendosi solo in questi ultimi tempi.
Eppure la casetta a due piani tra la Villa Comunale e Porta Napoli, fu costruita negli anni venti osservando tutte le norme antisismiche e i miei nonni, provati dal terribile terremoto del 1915, la acquistarono proprio per questo. I muri spessissimi, gli architravi profondi e quella sua aria così solida da cubo inelegante mi rassicuravano, ma provare i brividi di una modesta scossa, da raccontare a scuola al mio ritorno a Roma, in fondo mi sarebbe piaciuto.
Comincia così uno dei capitoli del mio personale mémoir, oltre un centinaio di pagine scritte alcuni anni fa per la mia numerosa famiglia aquilana.
Nella città che stanotte ha tremato talmente tanto da averla sentita tremare fin qui, ho trascorso gran parte delle estati della mia infanzia.
Ai miei occhi di bambina i palazzi barocchi, con i loro bastioncini laterali, sembravano la quintessenza della solidità, a partire da quello della zia Dolores, che dal “capopiazza” dominava tutto il centro. Eppure fu proprio dopo il terremoto più devastante, quello del 3 febbraio 1703, che rase al suolo la città e fece diecimila morti, che L’Aquila mobilitò tutte le sue energie e le sue pietre per costruire lo splendore e la solidità della città barocca.
I racconti di mia nonna erano particolareggiatissimi, non solo perché si erano tramandati in famiglia, ma anche perché lei – tra le prime ragazze aquilane a laurearsi nel 1926 – ci aveva scritto la sua tesi di laurea.
L’altro terribile terremoto l’aveva vissuto lei stessa bambina, nell’inverno del 1915. Le scosse di assestamento durarono fino all’estate, ma mia nonna novantenne aveva dimenticato tutto il dolore e la paura e ricordava quei mesi come un periodo bellissimo.
Per quell’anno nessuno andò più a scuola e, di fronte ai pericoli e alle difficoltà, le rigidità educative si allentarono. Per di più, il terremoto fu seguito da una lunga e fortissima nevicata, che il 3 febbraio coprì la processione in ricordo del cataclisma del 1703. Nei giorni seguenti i bambini si sbizzarrirono con i pupazzi e le palle di neve, certi che gli adulti avessero di meglio da fare che stare dietro a loro.
I bambini si scatenavano nella città in miniatura delle baracchette di legno, che si sovrapponeva e si confondeva con quella monumentale e pesante di pietra. Nella grande piazza del mercato la vita ferveva di giorno e di notte tra le tende, le carrozze e le baracche. Di baracche, ve ne erano di tutti i tipi, ma nonna ricordava soprattutto quella della famiglia Nurzia: di latta, con tutte le tegole nuove, completamente tappezzata con i manifesti del suo famoso torrone, che già allora mostravano un girotondo di Grazie liberty che danzano con gli abiti al vento.
un abbraccio a tutti gli abruzzesi.
Immagino come tu stia vivendo la cronaca di questa orribile giornata.
È terribile per tutti, e ci si sente così impotenti: si crede di avere il mondo in mano e invece puf… basta una scossa un po’ più forte e tutto se ne va.
Bisognerebbe avere la capacità di vivere tenendo sempre presente che la terra può tremare. Per tutti.
Un abbraccio
Leggo sempre il tuo blog ed è sempre un gusto leggerti ma è la prima volta che ti scrivo. Vivo nelle Marche e anche io ho sentito la terribile scossa e rivissuto l’ultimo terremoto del 97. Che dire? Una preghiera per chi non c’è più e rimbocchiamoci subito le maniche per ricominciare.
Auguri di Buona Pasqua di Resurrezione.
Marina
Un pensiero e un abbraccio
Ieri, istintivamente, mi sono rifugiata nelle memorie di bambina, quelle mie e di mia nonna.
Le notizie della giornata mi hanno riportata alle durezze e alla tragedia di oggi. Tornerò nella città di pietra molto prima di quanto pensassi.
Luisa
sono andata sul tuo blog sapendo che avresti scritto qualcosa su L’Aquila – non sapevo cosa e come – ma non ricordavo fosse pure la terra delle tue origini.
Spero sia anche a te di conforto tutta la solidaretà nazionale e internazionale che in rete, e fuori dalla rete, si sta sviluppando.
Un grande abbraccio Mariella
il terremoto dell’Aquila, anzi “di Aquila” mi ha commosso particolarmente.
Ricordo bene il cubo inelegante, fuori porta, rifugio di una nonna trapiantata a Pisa…
Anch’io ho le mie radici da quelle parti. Un forte abbraccio a tutti gli abruzzesi, e una preghiera per quelli che non ci sono più.
Gianni
Tutti i blog in questi giorni parlano del terremoto. Io non sapevo cosa dire e ho preferito tacere.
La tua testimonianza mi ha fatto riflettere: si può partecipare al dolore senza cadere nell’ovvio. Grazie.
renata
La grazia con cui ci rendi partecipi della tua infanzia aquilana e dei ricordi della nonna è commovente.
Ho avuto il privilegio di leggere le pagine del tuo memoir molto tempo fa e ricordo di aver apprezzato moltissimo i toni ironici e affettuosi del racconto. Posso capire ora il tuo sgomento e l’amarezza per questa tragedia.
Ingrid
[…] lo ripeto da quindici mesi ormai, ma non sono ancora riuscita a trovare il coraggio di guardare la città di mia nonna e dei miei ricordi di infanzia piena di ferite. Eppure è a poco più di un’ora da […]