Spesso mi ritrovo nella casella di posta richieste di consigli su problemi di scrittura e di comunicazione molto specifici, tipo quello che ho ricevuto un paio di giorni fa da Denia. Grafica pubblicitaria, vorrebbe stendere una relazione finale per il cliente dopo ogni lavoro e mi chiedeva come fare.
Ora, io non sono una grafica e in più – anche se mi piacerebbe – non posso proprio rispondere in maniera esaustiva ai singoli problemi, perché altrimenti non avrei tempo per scrivere i testi del sito e i post di questo blog, oltre che per lavorare. Questione di sopravvivenza.
La domanda di Denia però mi ha fatto pensare, ho buttato giù qualche idea e penso che la cosa migliore sia come sempre condividere, così ci guadagniamo tutti. Io che ci rifletto su, Denia che ha fatto la domanda, e magari anche gli altri che leggono.
Alla fine del lavoro, io non stendo una vera e propria relazione. “Relazione” fa pensare a un documento corposo, e il tuo cliente vuole solo che tu risolva un problema con una soluzione il più possibile brillante, senza fargli perdere tempo, soprattutto se indulgi nell’autocompiacimento. Caderci dentro è facilissimo e a quel punto dai fastidio.
In realtà, accompagno sempre un lavoro con alcune note sintetiche, molto concrete. Quasi mai un discorso, quasi sempre un elenco puntato, magari suddiviso per temi. Una cosa da cogliere a colpo d’occhio, insomma,
Cerco di non superare mai la cartella, spesso la premetto al documento, soprattutto quando si tratta di editing e riscrittura, dove è meglio che prodotto finale e note viaggino insieme.
Non ho uno standard, ogni tipo di lavoro mi ispira qualcosa di diverso.
Le uniche costanti sono:
- testo breve
- spiegare bene il “perché” delle principali scelte testuali: se è vero che il cliente non vuole perdere tempo, è altrettanto vero che dare una sbirciata dentro la testa del copy, capire dal di dentro come e perché un buon testo funziona dà un gran gusto a tutti, oltre che conferire al copy professionalità e autorevolezza.
In tanti mi hanno obiettato che io spiego troppo, svelo troppi segreti, con la conseguenza che il cliente dopo un po’ diventa bravissimo e fa da solo. Un po’ è vero, ma è impegnativo e quindi bellissimo lavorare con clienti consapevoli e l’esperienza ormai mi dice che il cliente raffinato affina anche la vista, vede nuovi problemi e quasi sempre poi li vuole risolvere insieme a te.
Ho cominciato in azienda, quando accompagnavo ogni lavoro di editing sui testi dei colleghi con delle brevi note per email. Capivo che così nessuno si offendeva “perché scriveva male” e stroncavo sul nascere almeno l’80% delle obiezioni: “Come puoi vedere, ho preferito spostare l’inciso alla fine, così la sintassi è molto più fluida.” oppure “Ho anticipato tutti i vantaggi del prodotto. In fondo, il cliente il suo scenario di mercato lo conosce benissimo, non c’è bisogno di riassumerglielo all’inizio in tre righe, non trovi?” o ancora “Ho preparato un abstract: il documento è lungo, così il capo sa subito cosa gli proponi”.
In genere, mi concentro sul problema principale.
Se propongo dei nomi, mi soffermo su quante cose ci sono dentro una sola parola – significati, evocazioni, suoni – e sul perché ne ho esclusi altri papabili.
Se mi è stato esplicitamente chiesto di lavorare sulla verbosità, faccio un confronto tra il numero iniziale di battute e quello finale, ma sottolineo come tutte le informazioni importanti non solo restano, ma acquistano più rilievo.
Se lavoro sulla semplificazione, mostro gli indici di leggibilità prima e dopo. Non sono un parametro assoluto, ma aiutano molto.
Se mi è stato chiesto di lavorare sullo stile e l’identità verbale, traccio una specie di profilo di personalità con l’aiuto delle mie scelte sintattiche e lessicali.
Ma devo dire che ho fatto anche scelte molto diverse, come quando decisi di presentare una prova di scrittura per il web senza note e senza mia presentazione, anche se ero stata invitata a farlo direttamente e in pompa magna. Obiettai che un testo per il web, per funzionare davvero, deve parlare da solo, senza alcuna presentazione. Avrei inviato le note, ma dopo, a prima lettura avvenuta e a prima impressione ricevuta.
Rischiai di brutto, perché il lavoro era importante e i miei concorrenti temibili.
Ma ebbi il lavoro, e fu un lavoro che diede una svolta decisa al mio destino professionale.
Da allora, ho imparato ad ascoltare prima di tutto il mio istinto e la mia pancia. Subito dopo la mia mente e la mia penna razionali entrano in azione.
Penso che avere a che fare con clienti, ma più in generale, con persone che condividono e concordano con te sui criteri base dell’usabilità, non solo faciliti il lavoro ma lo arricchisce. Certo i non addetti ai lavori non sanno che la loro visione di internet si avvicina o coincide con criteri codficati ma in fondo la maggior parte dei criteri nascono dal buon senso.
Ciao
Monica
Alla bravissima , generosa, creativa anche nelle modalità di presentare un documento al cliente :-), insomma a Luisa che mi regala pillole e brani di conoscenza quasi quotidiana, invio un abbraccio serale, tua mariella
applausi
J.
Grande e prezioso post!
Questo entra immediatamente nella cartellina che ho appositamente aperto, molto tempo fa, e si chiama “Perle di Luisa”.
Giò
grazie luisa,
generosa come sempre!
🙂
roberta
Luisa, grazie. Bellissimo (e utilissimo) post e tu generosissima, come sempre. Solo un appunto, da correttore di bozze più che da copy: guadagniamo si scrive, per l’appunto, con la i. Il tuo è soltanto un errore di battitura, ma quante i stanno sparendo nell’uso quotidiano? Sogniamo, disegniamo… togli una i, cambi la pronuncia, la brutalizzi, comprometti la musicalità di una parola e piano piano ne smarrisci il senso… Di nuovo grazie.
Matteo
Matteo,
grazie per la correzione.
Sei molto carino a parlare di errore di battitura… io invece lo so che le “gn” sono tra i miei punti deboli… tra le cose che controllo nei coniugatori di verbi 😉
Ma avere un blog è anche avere una schiera di editor, per fortuna.
Luisa
Mi sento di difendere l'”errore di battitura” di Luisa, citando l’Accademia della Crusca:
«La norma grammaticale è comunque tollerante in proposito, sicché forme come bagnamo o bagnate non potrebbero essere considerati errori».
D’accordo con Matteo, dunque, ma la regola per cui si aggiunge il suffisso -iamo non è più così stretta, oggi.
Per approfondimenti:
Le faq dell’Accademia della Crusca