Tullio De Mauro l’ho ascoltato in diverse occasioni, una volta in una scuola elementare con davanti decine di bambini seduti per terra, un’altra nell’ambiente più solenne dell’Auditorium di Roma dove facendo su e giù sul palcoscenico rispondeva alla domanda “che cos’è una lingua?”.
Venerdì pomeriggio l’ho ascoltato all’aperto, nel cortile della Biblioteca Ariostea di Ferrara: nell’atmosfera informale e festosa del Festival di Internazionale, il nostro professore ci ha intrattenuto e fatto divertire, e sembrava divertirsi parecchio pure lui.
Lo spunto era la sua rubrica sul settimanale, una finestrina che si chiama La parola, in cui De Mauro mette sotto la lente del linguista una parola nuova, che circola da poco o da tanto, uscita dagli ambiti specialistici, ma non (ancora) accolta nei vocabolari delle principali lingue europee. Molte di esse non ci
Queste parole nuove sono interessanti ma – ci ha ricordato il professore – sono solo una parte infinitesimale di una lingua. Praticamente tutto quello che abbiamo da dire, anche cose molto complicate, possiamo dirle con le 2.000 parole del vocabolario fondamentale o, se ci vogliamo proprio allargare, con le altre 5.000 parole del vocabolario di base. Con queste parole Dante ci ha scritto quasi tutta la Divina Commedia.
Intorno a questo nucleo di cui ci serviamo tutti per circa il 97% delle nostre espressioni, ci sono le 40.000 parole del vocabolario comune, quelle che conosciamo se abbiamo fatto gli studi superiori.
Naturalmente non è finita qui: ci sono i linguaggi specialistici, centinaia di migliaia di parole, soprattutto delle scienze, che solo gli specialisti appunto conoscono.
Eppure le parole nuove continuano a nascere. Nascono quando si sente la necessità di esprimere con una sola semplice parola un processo lungo, una realtà complicata, come nel caso di connettomica, la futura possibile mappa dei neuroni del cervello. Per designare un nuovo fenomeno, come blog. Oppure per dare un nome accettabile a qualcosa di difficilmente accettabile, come GWOT, l’acronimo di Global War On Terrorism, l’etichetta per la guerra in Iraq ideata dall’amministrazione Bush.
Molte di più, rispetto alle parole nuove, sono le parole il cui significante resta uguale, mentre il significato cambia nel corso del tempo, ma lì è più difficile accorgersene.
Ci vuole il linguista per farti notare che criticità oggi significa soprattutto problema, difficoltà, che leggerezza prima delle “lezioni” di Calvino era soprattutto superficialità e frivolezza, che per parole come artista, arte, storia, democrazia, liberale, l’accezione positiva è qualcosa di molto recente.
A chi leva gli scudi contro l’invasione delle parole inglesi nella nostra lingua, il professore ricorda che questo avviene anche per la straordinaria capacità dell’italiano di inglobare, adattare e digerire non solo nuove parole, ma anche nuove espressioni (“è la stampa, baby!” di Humphrey Bogart, o “la madre di tutte le battaglie” di Saddam Hussein).
Le parole nuove l’italiano le produce anche, e le diffonde nel mondo: novitismo (ostentazione vacua di novità), cronoprogramma (linea del tempo) o il nuovo significato di criticità, appunto.
Quanto all’inglese, dà e prende, perché è la più latinizzata tra le lingue europee. E non si strappa i capelli per questo, anzi.
PS Anche le note dolenti sono arrivate con il sorriso. “Siamo leader in dealfabetizzazione!” ha esordito De Mauro nel ricordarci che quel che sappiamo alla fine del corso di studi lo perdiamo poi quando entriamo e ci inoltriamo nel mondo del lavoro. Perdiamo l’abitudine alla lettura, e quindi perdiamo anche tante parole.
Peggio di noi fa solo la Sierra Leone.
e se dici “leggerezza” pensando alle Lezioni americane di Italo Calvino, ad uno che pensa che “leggerezza” sia solo superficialità, corri sempre il rischio di incorrere in un misunderstading.
Per prevenire gli equivoci, che sono sempre in agguato, forse è meglio tacere.
J.
corretto è “misunderstanding”.
Il Ministro Tullio De Mauro è stato autore anche di “Capire le parole”, un saggio sui meccanismi linguistici e mentali che ci portano a comprendere o a fraintendere parole e frasi.
Saluti.
J.
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