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risali negli anni

3 Settembre 2008

Carta, penna e pennarelli

Sto cercando di avviare in maniera morbida la mia ripresa delle attività e di cominciare a mettere in pratica da subito i miei buoni propositi.

Al primo posto c’è quello di dedicare più tempo allo studio sui temi che in questo periodo mi interessano di più. Così, tra ieri e oggi, ho finito di leggere due libri che riguardano il pensiero visivo e in cui le immagini la fanno da padrone rispetto al testo. Due libri belli prima di tutto da guardare, sfogliare, tenere tra le mani.
I libri belli però – mi rendo sempre più conto – alzano notevolmente le aspettative sui contenuti, per cui le parole devono essere eccellenti, le idee originali.

The Back of the Napkin, invece, tradisce decisamente la promessa di “risolvere i problemi e vendere le idee con le immagini”. La lettura è stata piacevole, ma quel che mi rimane è solo una maggiore capacità di fare decenti disegnini, non certo per vendere ma forse per rappresentare e chiarire a me stessa le mie idee. Utile, ma un po’ poco.

Bellissimo e ispiratore Graphic Design, the New Basics. Ellen Lupton e Jennifer Cole Phillips ripartono dalle origini del moderno graphic design, da quel Bauhaus che negli anni venti del secolo scorso si proponeva di analizzare la forma in termini di elementi geometrici di base e di insegnare un linguaggio visivo universale che fosse comprensibile da tutti e che a tutti permettesse di vivere in un ambiente fatto di cose belle e funzionali.

Ora che i programmi informatici ci permettono di fare tutto con pochi clic – testi in movimento, forme di ogni tipo e colore, pagine belle e pronte con parole e immagini – l’invito è tornare a guardare cosa c’è dietro un’immagine o un layout complesso attraverso gli elementi di base del linguaggio visivo: punto, linea, superficie, ritmo ed equilibrio, proporzioni, colore, fondo, contesto, ordine, trasparenza, modularità, griglia, mappe, tempo e movimento, regole e sregolatezza… tutte cose fondamentali anche per chi scrive, e innumerevoli sono le suggestioni che il redattore può cogliere dalle immagini e gli esperimenti visivi delle autrici e dei loro studenti, dalle regole sulla ripetizione e la sorpresa fino alle infinite possibilità per rappresentare le idee nello spazio attraverso le mappe (vedi anche l’uso che ne ha fatto Roberta nel suo nuovo taccuino).

Due mi sembrano oggi i principali filoni di utilità del linguaggio visivo per chi scrive:

  • “vedere” le proprie parole e idee in un ordine diverso da quello sequenziale e gerarchico della scaletta aiuta a far emergere assonanze e connessioni che altrimenti non coglieremmo, soprattutto se il lavoro lo facciamo a mano e non al pc, collegando in maniera più diretta il corpo e la mente
  • leggiamo e scriviamo sempre più spesso testi frammentati e modulari, che vivono nello spazio insieme alle immagini: abituarsi a progettare direttamente sul foglio anche questi tipi di testi aiuta, oltre a divertire (in Graphic Design ci sono alcuni splendidi esperimenti di biografie visive).

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