Due libri che ho comprato in momenti diversi e che ora sto leggendo insieme, intrecciando i loro fili e lasciando che le storie si specchino l’una nell’altra.
Eppure, l’uno è scritto da una giovane narratrice angloindiana e raccoglie i suoi ultimi racconti. L’altro è di una giornalista e donna politica italiana, che racconta un anno di lavoro, viaggi e incontri in India.
Comincio dal libro italiano. Mariella Gramaglia, prima di mollare tutto più di un anno fa e andarsene a lavorare come cooperante nel più grande sindacato di lavoratrici al mondo, era il vicesindaco della mia città, Roma.
Non deve avercela fatta più, se sentiva “le parole morirle in gola e l’energia tra le mani”. Un’immagine e una sensazione che mi hanno toccata e in cui credo molte donne e uomini di sinistra – ma non solo – oggi si possano riconoscere, alla ricerca di un segnale, di un appiglio in un orizzonte in cui sembra esserci spazio solo per il protagonismo e gli urli in piazza.
Lei se ne è andata, semplicemente, a cercare i suoi segnali molto lontano dalla metropoli occidentale, tra le donne più povere e più dignitose del pianeta. Quello che ci riporta indietro è Indiana (Donzelli 2008), un libro bellissimo, interessante e commovente, documentato e profondamente vissuto, che tutti dovrebbero leggere non solo per guardare in modo inedito e vicinissimo a uno dei paesi emergenti del pianeta, ma anche per guardare in modo nuovo ai problemi emergenti del nostro paese, sempre più in difesa ed estenuato.
Una globalizzazione, finalmente, delle persone e dei diritti, in cui le lavoratrici indiane appaiono all’autrice come le nostre possibili “sorelle maggiori”: “Nel balbettare malamente il linguaggio dei diritti, soprattutto di quelli dei più deboli, tutto il mondo si somiglia più di quanto non si creda. E si somiglierà sempre di più via via che tanti esseri umani seguiranno le rotte delle immense transumanze globali. Se sarà per il meglio o per il peggio, dipende da ciascuno di noi”.
Il diario indiano di Mariella è un succedersi continuo di umanità e di incontri, dalle poverissime sigaraie di bidi a Ela Bhatt, leader del movimento femminista e sindacale, dalle venditrici di pesce sulle coste devastate dallo tsunami a Sonia Gandhi.
Le indiane dei racconti di Una nuova terra di Jhumpa Lahiri sono apparentemente lontanissime dalle contadine del Gujarat: vivono negli Stati Uniti in case bellissime, hanno studiato a Princeton, lavorano nelle biblioteche o in prestigiosi studi legali, guidano il Suv e portano i jeans, eppure quello che l’autrice scava, ritrova e fa riaffiorare in ciascuna di loro è proprio quel nucleo di pudore così misteriosamente e insopprimibilmente indiano che ha affascinato anche la femminista italiana.
Jhumpa Lahiri lo fa affiorare soprattutto nei silenzi di vicende quotidiane che riguardano tutti, al di là della latitudine e del ceto sociale.
Nel primo racconto, che dà il nome alla raccolta, un padre, una figlia e un nipotino si ritrovano dopo la morte improvvisa della madre intorno al rito semplicissimo della cura di un giardino. Pochissimo viene detto, i gesti e le azioni sono contenuti, ma si rimane inchiodati all’atmosfera sospesa della casa sul lago fino alla partenza del nonno. Comincia una nuova vita per tutti, ma i fili sono stati riannodati.
Chi ha già letto gli splendidi racconti de L’interprete dei malanni, che valse a Jumpa Lahiri il premio Pulitzer nel 2000, a soli trentadue anni, vi ritroverà tutta la delicatezza della scrittura e dell’espressione delle emozioni.
Consiglio vivamente ‘L’omonimo’ di Jumpa Lahiri, da cui Mira Nair ha tratto il film ‘Il destino del nome’.
Ciao, Patrizia
Ho giusto giusto comprato questa settimana questi due libri (Indiana proprio oggi) e leggo ora questo tuo post!
Non vedo l’ora di iniziarli a leggere, soprattutto Indiana, sulla scia dei miei ricordi delle ragazze conosciute in India.
Di Jumpa Lahiri anche a me era piaciuto molto L’interprete dei malanni, con il suo senso di perdita che, in un modo o nell’altro, in India o negli States, affligge tutti i personaggi dei racconti.
Un saluto,
Silvia (se ti ricordi me, quella della Zanichelli)
“le parole morirle in gola e l’energia tra le mani”, non sono i sentimenti di quelli di sinistra, ma di chiunque vive nella perenne incertezza del lavoro, dei sentimenti… della vita.
mary
ma pensa, ho da poco scritto anch’io di Jumhpa Lahiri perché sono stata affascinata sia da “The Namesake” che da “Unaccustomed Earth” (ora scopro qui da te che è stato tradotto in italiano).
bel blog.
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[…] di sopra delle lingue, qualche bella scoperta Indiane Jhumpa Lahiri is […]