Nella sua rubrica La parola, su Internazionale di questa settimana Tullio De Mauro si occupa di una parola che nelle aziende si usa fino alla nausea: criticità. Non ci sono più problemi o difficoltà, ma solo criticità o meglio ancora elementi di criticità, che appartengono alla stessa famiglia dei punti di forza e punti di debolezza.
Prendendo spunto dalle neosemie, cioè dalle parole che nel tempo assumono nuovi significati oltre a quello originario, De Mauro scrive:
“Da anni ormai usiamo in italiano criticità (all’inizio specie al plurale) per dire non più solo “spirito critico” o “condizione critica”, ma “punto critico” e, addirittura, “disfunzione”. I dizionari ne tacciono. E i dizionari francesi, inglesi e spagnoli omettono perfino le parole criticité, criticity, criticidad, ben diffuse oggi, specie al plurale, nel senso di “difficoltà” “défaillance”. Ben diffuse, ma molto meno che in italiano. L’Italia è talmente piena di criticità che ha esportato in altre lingue il nuovo senso?”
S’impara sempre!!! 🙂
Io detesto la parola “criticità”. E’ mutuata dal gergaccio aziendale e spalmata ovunque.
Silvia
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