“Scrivere è umano, fare editing è divino”
Lo afferma Stephen King nel ringraziare l’editor del suo On Writing.
Se sia proprio divino non lo so. Di sicuro il lavoro di editing sui testi altrui è utilissimo e formativo e non andrebbe mai snobbato, neanche dagli scrittori professionali più esperti.
Lontano dai terreni così ambiti della creatività, è il retrobottega dell’artigiano delle parole, il tavolino dell’apprendista. Il luogo migliore dove farsi le ossa, e al quale ogni tanto tornare.
Io ci sono tornata in maniera molto intensa in questa settimana che si chiude, e mi sento abbastanza rinvigorita.
Mi sono ricordata dei primi tempi in azienda, quando il mio lavoro consisteva soprattutto nel tradurre i testi degli informatici in periodi fluidi e chiari, il loro linguaggio in concetti e immagini comprensibili. Ma allora tagliavo e cambiavo senza tesaurizzare troppo se non nella mia testa.
Oggi sono più accorta, conservo tutto, anche le mie riflessioni e i “perché” del mio editing, che in pratica significa:
- fare subito una copia del file, così da avere sempre il “prima” e il “dopo”
- tenere traccia del “durante” con le revisioni di word
- scrivere alla fine i perché dei principali cambiamenti in un sintetico elenco puntato
- alimentare con le revisioni più interessanti ed efficaci la mia cartella Riscritture
- alimentare la mia Black List con parole brutte e consumate, e la mia White List con le alternative trovate
- di una nuova riflessione, di un piccolo problema risolto, fare un post su questo blog.