Che strano immergersi per un paio d’ore, in uno dei luoghi espositivi più raccolti e silenziosi di Roma, nelle idee, i quadri e i colori di un gruppo di artisti che circa 150 anni fa voleva fare l’Italia a partire dall’arte e dalla creatività.
Fuori, impazza l’Italia natalizia euforica nelle spese e depressa nell’animo, almeno a quanto scrivono un paio di autorevolissimi giornali anglosassoni. I giornalisti nostrani si interrogano, gli editorialisti ci/si fustigano, mentre i siti web dei loro giornali lanciano sondaggi in proposito. Intanto La Casta ha raggiunto il milione di copie.
Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Telemaco Signorini e gli altri pittori macchiaioli avevano in mente tutta un’altra Italia, ancor prima che nascesse.
Ne avevano un’idea molto precisa e ne discutevano al Caffé Michelangiolo di Firenze intorno al 1850. Venivano da tutta Italia e avevano contatti continui con Parigi e con Londra dall’unica regione, la Toscana, che allora consentisse una certa libertà di espressione.
Quella nuova Italia, per la quale quasi tutti loro combatterono e in alcuni casi morirono giovanissimi, era già nella loro pittura. Spiriti diversissimi, si ritrovarono in un’arte vicina il più possibile al vero – la natura, ma soprattutto il lavoro nei campi, l’orto, i bambini, gli animali – e in uno stile solido, costruttivo, in cui si incontrassero la pittura tonale di Giorgione e Tiziano, la luce del primo rinascimento umbro e toscano, la monumentalità di Piero della Francesca.
Tutto questo trovò espressione nella “macchia”, campiture decise di colore piatto, senza contorno e senza chiaroscuro, incastri perfetti così diversi dalle svirgolature luminose dei contemporanei impressionisti francesi. Sarà per questo che la maggior parte dei quadri macchiaioli sono minuscoli, ma nel loro formato orizzontale sembrano contenere il mondo intero: persone, case e animali vi giganteggiano dentro.
Se la maggior parte degli impressionisti nutriva per il soggetto una suprema indifferenza, per i macchiaioli era il contrario. Volevano rappresentare e attraverso la pittura scoprire e sentirsi vicini alla realtà contemporanea, quella dei grandi avvenimenti – le guerre di indipendenza, la spedizione dei Mille – e quella della vita quotidiana, della città e la campagna.
In un’Italia che ancora non aveva conosciuto l’industrializzazione il lavoro era soprattutto quello dei campi, dove Fattori rappresenta contadini e buoi come eroi del proprio tempo, uniti dalla stessa fatica. Provate a confrontare un covone di fieno di Monet e uno di Fattori. Il primo vi rivelerà un occhio, per quanto sublime, il secondo un uomo che guarda e racconta.
Lo stesso processo unitario, che vide impegnati anche con il fucile in mano tutti i pittori macchiaioli, non è mai raccontato in maniera trionfale. Di una battaglia, Fattori preferisce ritrarre la ritirata, con i soldati feriti e stanchi, Borrani un gruppo di fanciulle intente a cucire camicie rosse.
Fare l’Italia, per loro, era prima di tutto raccontarla con la verità della pittura, indagarla in tutte le sue realtà. E così, i macchiaioli videro e dipinsero pr la prima volta quello che la pittura classica e romantica non aveva voluto e saputo vedere.
La natura, con le libecciate sulla spiaggia di Castiglioncello, l’asprezza della Maremma, la placidità di Piagentina, un quartiere campagnolo di Firenze oggi del tutto cementificato.
I bambini, e le donne che all’interno delle case borghesi cominciavano a scoprire la propria creatività. Sono donne che suonano, cantano, leggono e soprattutto dipingono. Come la misteriosa Scolarina di Fattori, un trionfo di macchie rosa, bianche e azzurre che costruiscono una fanciulla senza volto interamente assorbita nella sua pittura di orizzonti marini.
La mostra I macchiaioli, il sentimento del vero è a Roma, al Chiostro del Bramante, fino al 6 gennaio.