Da quando scrivo, anzi da quando leggo sul web, il tema della lunghezza dei testi mi ha sempre presa molto. Dopo i primi entusiasmi e i primi inni un po’ ingenui alla brevità tout court, ho sempre pensato che fosse un falso problema, da affrontare concretamente di volta in volta e non con prescrizioni da manuale. Perciò quando ho visto che questa settimana Jakob Nielsen dedica la sua Alertbox al tema della lunghezza dei testi sul web con un (inconsueto per lui) lunghissimo pezzo, mi ci sono buttata incuriosita.
Ho letto l’articolo almeno un paio di volte con attenzione, ma confesso che tra formule, grafici e percentuali non ci ho capito molto.
La conclusione finale di tanto calcolare però fa ricorso soprattutto al buon senso:
Se desiderate avere molti lettori, puntate su testi brevi e facili da scorrere con lo sguardo. E’ il caso dei siti promozionali, dove dovete vendere qualcosa.
Se i vostri utenti cercano soluzioni particolari a problemi complessi, puntate su testi lunghi e completi.
Fortuna che c’è l’ipertesto, scrive Nielsen, che ci permette di mescolare efficacemente i due modelli.
Giusto, ma c’eravamo arrivati anche noi.
La verità è che quando gli ingegneri considerano il testo prendono in esame unicamente i fatti quantitativi: tot parole, tot frasi, tot righe. Criteri importanti, certo, ma la famosa leggibilità del testo, la sua pesantezza o leggerezza, la fanno soprattutto altri elementi che hanno a che fare con lo stile, il ritmo, il lessico, le immagini, le metafore.
Tutte cose difficili da misurare, ma tutti sappiamo distinguere al volo un breve testo-mattone da un lungo testo-aquilone.