Ieri sull’inserto domenicale di Repubblica c’era una doppia pagina dedicata agli appunti inediti di Fabrizio De André. Piccole cose, se confrontate con l’abbondanza delle parole cantate, ma di De Andrè leggerei tutto e ascolterei tutto, ogni minuzia.
Così – complici il condominio vuoto e la dolcezza del clima romano di questi giorni – mi sono risentita a volume altissimo e finestre spalancate tutti i 16 cd di De Andrè, in ordine cronologico, dal primo all’ultimo, fino alla sera inoltrata.
Ripercorrendo un pezzo della mia vita, a partire da un giorno del 1967, quando ascoltai per la prima volta una sua canzone. Era Preghiera in gennaio, struggente e di una tristezza spaventosa, di cui capii ben poco, se non che avrei voluto sentirla e risentirla per ore. Fui accontentata: il mio giovanissimo zio la ascoltò per un pomeriggio intero e tanto era il suo entusiasmo che alla fine si mise a raccontare tutto del suo autore a una bambina di otto anni.
Di quel pomeriggio ricordo poche cose: la sensazione della neve e del bianco che poi mi avrebbe sempre accompagnata ascoltando De André, il gran ciuffo liscio e spiovente sulla copertina del 45 giri, il fatto che quello sconosciuto cantante che alla radio non si sentiva mai era quello che in Italia vendeva più dischi di tutti. L’incanto era nato.
Invece, nella maratona domenicale, quello che ho gustato di più – riscoprendolo, è stato Non al denaro né all’amore né al cielo, con gli autoritratti ironici e indulgenti dei morti di Spoon River.
Potrei dire, tutto uguale, le medesime emozioni sin da bambina. E a volte, qunado risento canzoni sue, mi stupisce come a disatnza d’anni ricordi ancora i yesti benissimo. Poi i bizzarri casi della vita hanno voluto che mio suocero sia stato, oltre che amico suo e di Dori, anche il suo produttore musicale per molti anni. In un certo senso, la realizzazione di un sogno da bambina, che non ti saresti mai aspettata.
🙂
A me Frabrizio, da tanto l’ho ascoltato, è entrato nel DNA. Non posso vantarmi di avere tutti i suoi dischi, cosa vera peraltro, perché é un ben triste raccogliere, considerando che, uno degli dei che accostiamo al nostro viaggio, lo ha chiamato a sé quando, forse, era proprio nella sua più “matura maturità” artistica. Posso però inserirmi a buon diritto tra coloro che Fabrizio lo hanno ascoltato davvero, a fondo, appieno. Ora, per esempio, sto ascoltando (per la seconda volta oggi) Vol 1. Ce l’ho a casa, in ufficio, sul palmare. Grazie Fabrizio, grazie a te e a tutti quelli che, anche semplicemente riascoltando uno dei suoi tanti capolavori, fanno sì che resti ancora un pochino qui con noi.
Un abbraccio
capito sul tuo blog proprio quando parli del mio Autore preferito. Un musicista? Un poeta? Per me lui è tante cose insieme, ogni canzone mi regala emozioni, immagini, suoni, odori.