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risali negli anni

23 Luglio 2007

Il mio nome è Orhan

Un romanzo è un mondo, e l’autore lo misuriamo soprattutto sulla sua capacità di rendere per noi quel mondo vero, percorribile, plausibile, coerente, anche se ci trasporta a due millenni fa o in un lontanissimo futuro. Anche se racconta cose inverosimili e strampalate.
E’ l’essenza del romanzo – l’abbiamo letto in tutte le salse – e la nostra esperienza di lettori ce lo conferma. Che sia Proust, Thomas Mann o Stephen King, leggiamo per andare da un’altra parte, una promessa di infinito racchiusa tra quattro pareti di cartone. Poi apprezzeremo finezze espressive e scelte lessicali, coglieremo illustri influenze e interessanti parallelismi, ma è secondario. Il primo motore è uno solo: partire.
Il tuffo al cuore dopo aver varcato la soglia della copertina, la sensazione di familiarità e di sintonia, la sorpresa confortante di essere arrivati proprio lì dove avevamo bisogno proprio ora di andare, è però un regalo raro che la vita e la letteratura ti fanno. Quando succede, senti che è un momento magico, e non sai se è meglio indugiare per prolungare il piacere o correre alla scoperta a perdifiato.
Ti conforta sapere che lo scrittore è stato prolifico, che ci sono altri mondi che ti aspettano, altri viaggi dopo questo. Oppure che è giovane, e ha ancora un avvenire di libri davanti a sé.
Io ieri ho avuto uno di questi regali. Sono solo a pagina 40 di Il mio nome è rosso, di Ohran Pamuk, ma sono stata subito inondata da una sensazione di abbondanza, ricchezza, appagamento, curiosità ed energia. In una Istanbul di quattro secoli fa, ho già incontrato il sangue di un assassinio, una passione d’amore che arde non corrisposta per una vita, almeno cinque voci narranti, l’incontro tra oriente e occidente sulle pagine di un libro miniato. E’ commovente sapere che l’autore da trent’anni scrive solo mezza pagina al giorno. Solo questo libro di pagine ne ha oltre quattrocento.
Ma qualcosa avevo intuito e a portarmi verso Il mio nome è rosso è stato il piccolo La valigia di mio padre, che contiene alcuni discorsi di Pamuk, tra i quali quello pronunciato a Stoccolma in occasione del conferimento del Nobel per la letteratura. Un discorso che contiene un inno, una dichiarazione d’amore alla scrittura e al romanzo tra le più appassionate e ardenti che mi sia mai capitato di leggere.
 
Io scrivo perché sento il bisogno innato di scrivere! Scrivo perché non posso fare un lavoro normale, come gli altri. Scrivo perché voglio leggere libri come quelli che scrivo. Scrivo perché ce l’ho con voi, con tutti. Scrivo perché mi piace stare seduto in una stanza a scrivere tutto il giorno. Scrivo perché posso sopportare la realtà solo trasformandola. Scrivo perché tutto il mondo conosca il genere di vita che abbiamo vissuto, che viviamo io, gli altri, tutti noi a Istanbul, in Turchia. Scrivo perché amo l’odore della carta, della penna e dell’inchiostro. Scrivo perché credo nella letteratura, nell’arte del romanzo, più di quanto io creda in qualunque altra cosa. Scrivo per abitudine, per passione. Scrivo perché ho paura di essere dimenticato. Scrivo perché apprezzo la fama e l’interesse che ne derivano. Scrivo per star solo. Forse scrivo perché spero di capire il motivo per cui ce l’ho così con voi, con tutti. Scrivo perché mi piace essere letto. Scrivo perché una volta che ho iniziato un romanzo, un saggio, una pagina, voglio finirli. Scrivo perché tutti se lo aspettano da me. Scrivo perché come un bambino credo nell’immortalità delle biblioteche e nella posizione che i miei libri occupano sugli scaffali. Scrivo perché la vita, il mondo, tutto è incredibilmente bello e sorprendente. Scrivo perché è esaltante trasformare in parole tutte le bellezze e ricchezze della vita. Scrivo non per raccontare una storia, ma per costruirla. Scrivo per sfuggire alla sensazione di essere diretto in un luogo che, come in un sogno, non riesco a raggiungere. Scrivo perché non sono mai riuscito a essere felice. Scrivo per essere felice.
 
Un fuoco che ho ritrovato, quale mi aspettavo, nelle prime pagine del romanzo.
Se continuerà ad ardere con la stessa intensità, lo saprò tra qualche giorno.
 
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10 risposte a “Il mio nome è Orhan”

    • Scuse accettate e coumnque non necessarie: sull’onda del mio entusiasmo per la dipartita della Sinistra Arcobaleno, la discussione si era prevedibilmente scaldata un po’, e reazioni piccate erano prevedibili e giustificate. Al contrario, mi preoccupero’ quando nessuno mi rivolgera’ piu’ qualche epiteto: cio’ vorrebbe dire che (1) sono troppo vecchio, oppure (2) quello che dico non merita di essere commentato.Pur annoverando culattoni tra i miei piu’ cari amici, ed avendo tentato io stesso (senza alcun successo) di passare nell’altra parrocchia, io non desisto dall’usare termini politicamente scorretti; coumnque, se puo’ far piacere, rimpiazzero’ in futuro il termine “culattone” con “frocio” o “chiappa”.Chiarita la mia posizione, accetto con piacere l’invito di Alessandro a continuare a scrivere qualche intervento sul presente blog, possibilmente provocatorio, non foss’altro per il piacere della dialettica. Il mio modesto intento, come ho gia’ scritto, e’ di aggiungere al presente blog della salsa (possibilmente pepata) anti-PD, per vivacizzare il dibattito. Se poi scaturira’ qualche riflessione utile, tanto meglio.

  1. ciao Luisa,
    non è la prima volta che mi capita di leggere sul tuo blog libri che conosco e citazioni che avevo già segnato a matita in pagina.
    Il primo libro di Pamuk che ho letto è stato “Neve”, quando ancora questo scrittore straordinario era poco conosciuto. Poco tempo fa ho letto “Il mio nome è rosso”, e giusto il mese scorso la “Valigia di mio padre”. Domenica avevo preparato quello che sarebbe dovuto essere il primo post del mio nuovo blog: iniziava con “Io scrivo perché” e finiva con “per essere felice”. Insomma, riportava pari pari il brano che hai appena citato tu.
    Be’, la cosa non può che farmi piacere. La forza della letteratura sta anche nel riuscire ad avvicinare le persone.

    eleonora

  2. Ciao Luisa, ti posso assicurare che il fuoco di questo libro arde in ogni pagina, avvampando in alcuni capitoli. Ciao e buona lettura.

  3. Condivido in pieno il tuo pensiero.
    Mi sono avvicinato a Pamuk, dopo il premio Nobel. Sono nato anch’io ad Istanbul. In molti suoi libri,in particolare Istanbul, rivedo la mia infanzia,riesco a cogliere tra le righe,quelle “espressioni un pò così” tipiche degli intelletuali turchi.

  4. Quello che trovo davvero straodinario è come autori, lontanissimi per cultura, epoca, stile, dicano in fondo, sul loro rapporto con la scrittura, sempre le stesse cose, comunichino sempre le medesime emozioni.

  5. Cara Luisa,grazie in anticipo. Finalmente si parla di un grande scrittore poco conosciuto in Italia.
    Finalmente si rivaluta il grande impero Ottomano. Una civiltà ,decisamente avanti, rispetto all’Italia dell’epoca.
    Hubert.Stergacic

  6. “Scrivo perché come un bambino credo nell’immortalità delle biblioteche e nella posizione che i miei libri occupano sugli scaffali”

    Bello il riferimento al continuare ad essere bambino, da qualche parte.

    Da qualche tempo mi ero ripromesso di leggere Pamuk. Il tuo post mi spinge definitivamente a farlo.

    Saluti
    Franz

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