Ho scritto poco ultimamente, in compenso ho letto molto.
Anzi, proprio poco fa ho finito di leggere Writing Tools di Roy Peter Clark, una rivisitazione più ricca della sua famosa serie di 50 attrezzi per scrivere bene.
E’ stata una lettura piacevole e confortante, dalla quale ho tratto spunti e soprattutto conferme su quanto vado meditando anch’io circa la scrittura in questo strano periodo che viviamo, così multimediale e pure così testuale.
Ecco cosa mi è piaciuto di più:
- l’idea che non esistono buone regole da applicare, ma buoni attrezzi di cui impadronirsi come un bravo artigiano, da usare quando servono: più nei hai sul tuo bancone, meglio è
- il medium conta fino a un certo punto: nuts and bolts apply across the board, cioè con pochi buoni attrezzi puoi fare tutto, scrivere una lettera come un blog, un comunicato stampa o un testo per la radio
- come scrittori ci alimentiamo con tutto, dalla letteratura ai cartelli stradali, niente è da scartare
- si può scrivere un libro come una conversazione, con un tono familiare, personale e colloquiale, ma con uno stile che rimane sempre alto e credibile
- anche nella scrittura professionale e giornalistica, è meglio pensare e immaginare “in grande”, attingendo all’abbondanza e alla ricchezza della lingua, praticamente infinita nelle sue combinazioni.
Quando ho chiuso il libro, ho fatto un giro sul mio aggregatore per leggermi gli ultimi post. Ho trovato subito un altro libro: Writing for the web 3 di Crawford Kilian. Il simpatico professore canadese è stato il primo a pubblicare un libro sulla scrittura per il web, nel 1999.
La nuova edizione, a giudicare dall’indice e dalle slide di presentazione, non sembra aver fatto molti passi avanti da allora, anche se sul web è cambiato tutto.
“Tagliate il 50% di un testo, scrivete breve e modulare, usate parole semplici, frasi con meno di 20 parole, capoversi con meno di 5 frasi…” io di questi inni al minimalismo non ne posso più.
Del resto, anche l’ultimo libro del famoso guru Gerry McGovern, Web Killer Content, non si discosta da questa linea di asettica funzionalità, pur condita di slogan efficaci, ma ripetuti a ogni pagina come un mantra (Content should be killer, not filler).
Almeno il professor Kilian ci regala un po’ di esercizi da scaricare e non si prenbde mai troppo sul serio, mentre il guru di Dublino che gira tutto il mondo e mette il naso in tutte le aziende arriva forse a 10 esempi in tutto il libro.
Si rimpiange subito la bella abbondanza e la pienezza di Clark.
L’asettica funzionalità può essere un discreto punto di partenza. Ma talvolta un po’ di virtuosismo stilistico non guasta: nel calcio, i classici tre passaggi di prima per arrivare in porta sono spesso più efficaci di un doppio passo con elastico per ubriacare il difensore, ma poi il pubblico ricorda di più… Buona vita.
prendbe c’è una b di troppo. un bacio
gio
Mi fa tanto piacere quanto hai scritto.
Pochi giorni fa ero in un’azienda. Oggetto: un grande “book” con tutta la loro produzione, sotto la supervisione creativa di una notissima agenzia milanese. Mi hanno convocato per i testi. E’ stato un lungo braccio di ferro tra l’Ad di Milano che diceva per tutto il tempo:”qui il testo dà fastidio, qui una riga appena, no no sporca la pagina, ci deve essere grande pulizia, fondi neri, stile minimal, le parole annoiano”; e l’azienda che voleva comunque offrire dei contenuti, sia alla forza vendita che al cliente finale. (Io in silenzio a prendere appunti.) Alla fine ha vinto l’azienda e i testi li stiamo scrivendo. Ma “mi raccomando”, a slogan, eh…
Perciò oggi mi si allarga il cuore a leggere il tuo post.