Che cos’è una lingua?
Il professore sul palcoscenico, al buio, risponde prendendola alla larga. Ricorda che quando a Hegel uno studente chiese, durante una passeggiata, che cosa fosse la natura, il filosofo fece un grande gesto con le braccia e rispose “Tutto questo!”
Il professore ripete teatralmente il gesto, che pare comprenderci tutti, e comincia anche lui a passeggiare, su e giù, cosa che farà instancabilmente per due ore buone.
Una lingua sono tutte le parole che ci circondano, quelle intorno e fuori di noi, che leggiamo, pronunciamo, usiamo per intrecciare continue relazioni con gli altri. Ma sono soprattutto le parole dentro di noi, quelle del ragionamento, del pensiero, del dialogo interiore. Le parole non ci lasciano mai soli.
Una lingua ha le sue regole, ma per fortuna anche mille eccezioni e mille imperfezioni. Sono proprio loro a permettere alla lingua, e quindi a noi che la usiamo, di “aprire alla nostra finitezza le porte dell’infinito”. Cioè di dire una enorme quantità di cose impensabili, indicibili, mai dette, sconosciute.
Le porte verso l’infinito sono sette, e il professore le elenca una per una:
- la capacità di combinare un numero limitato di parole, magari trite e quotidiane, in un numero praticamente illimitato di frasi diverse: è quello che fa la poesia e che Orazio chiamava callida iunctura
- qualsiasi frase può essere interrotta in qualsiasi punto… e acquistare così un nuovo significato
- il significato di ogni frase può cambiare a seconda di chi la sta pronunciando: “il denaro va buttato dalla finestra” assume un significato opposto se a pronunciarla è un padre di famiglia che rimprovera i figli spreconi o un monaco che predica la povertà
- la grammatica, che con tutte le sue variazioni e declinazioni ci permette di ancorare le parole alle situazioni contingenti: passato, presente, futuro…
- la dilatabilità dei significati: con quante parole diverse si può designare una cosa a seconda delle persone e dei loro diversi punti di vista (una casa è una casa per chi la abita, una costruzione per un architetto, un domicilio per l’impiegato di un ufficio pubblico…), e quanti significati diversi può avere una singola parola!
- la metalinguisticità riflessiva: in parole povere, la capacità della lingua di interrogarsi sulla lingua stessa, cioè di chiedere “che vuoi dire?”, “che significa?”, quindi di spiegare e spiegarci, di essere “solidali nel parlare”
- il vocabolario, che si dilata e si restringe in continuazione, con le parole che vanno e vengono, appaiono per rimanere o invece passare subito di moda, a seconda di quello che avviene in questo nostro mondo.
Stamattina, alla conferenza-lezione-chiacchierata di Tullio De Mauro all’Auditorium Parco della Musica di Roma
Luisa, ti seguo da tempo e ammiro i tuoi studi, le tue competenze, le riflessioni e questo tuo bisogno di socializzare scoperte e conoscenze.
Grazie per le opportunità che offri ai tuoi lettori.
De Mauro ha avuto una parte importante nella mia tesi di laurea e immaginarlo e riconoscerlo nelle movenze, nel modo di comunicare le illimitate possibilità della lingua e dei pensieri, mi rallegra e mi entusiasma.
Anch’io sto leggendo Leggere lolita a Teheran con molto interesse, ma questa lettura comune è una coincidenza.
Ieri, tutto d’un fiato, Mal di pietre, che rimandavo da tempo. Puoi capire quanto l’ho gustato, visto che sono di Cagliari e, in questo mese, mi trovo a Milano.
Ti saluto con tanta stima,
Laura
Un certo Tullio De Mauro ha tradotto, da giovane, “Storia della danza” di Curt Sachs (Il Saggiatore). Se è lui e non un omonimo, se un traduttore di un certo livello sceglie cosa tradurre e non lo fa per contingenza, mi affascina ancora di più il professore, appassionato di danza, che cita Hegel e passeggia per due
ore sullo “stage”.
Scusi l’ennesima incursione “dai bassifondi” della blogosfera.
Ciao Luisa, anche io ti seguo da tempo, e mi piacerebbe segnalare il tuo post nel mio blog. Posso? In particolare mi sono piaciute le sette porte verso l’infinito, che racchiudono il senso pieno della lingua italiana. Mi viene in mente il libro di Vecchioni “le parole non le portano le cicogne”, che esprime esattamente ciò che intendi tu quando dici che la lingua italiana è bella anche perché imperfetta, perché assoggettabile a mille regole ed eccezioni, perché ricca di sfumature e piccole magie.
kika
Una lettura interessante e piena di spunti di riflessioni.
Grazie,
a.
Interessante post. Interessante notare lo sviluppo di una lingua, l’italiano nel caso nostro, la sua grammatica, i suoi vocaboli, i suoi detti…la sua storia.
Mi piace, mi fa sentire orgogliosamente vivo, nel senso letterario.
Felicità
Rino, interessandosi sempre di più.
Oggi ho scoperto l’esistenza del tuo blog e mi sento un pò un pesce fuor d’acqua. Fino a 4 anni fa leggevo molto, divoravo libri come fossero l’unico nutrimento per la mia mente…poi è arrivata la rivoluzione in casa mia e non ho molto tempo per me e soprattutto non riesco più a godermi un libro come prima: intorno a me non regna il silenzio ma il caos, quindi è difficile concentrarsi ed estraniarsi in amene letture….
La scrittura mi salva…si, scrivo quello che mi accade sul mio blog e mi sento meglio, anche con me stessa. Dal piacere della lettura son passata a quello della scrittura!
Leggo blog qua e là e devo dire che ci sono più scrittori in Italia di quanto si pensi e…bravi! Si, alla faccia di chi dice che nel nostro paese non vale più la pena leggere.
Veronica
Tullio De Mauro non delude mai! Se penso che al suo posto abbiamo avuto la Moratti… povera scuola nostra, che lì si iniziano, se tutto va bene, ad aprire le magiche sette porte… e prima lo si fa, più probabile è che restino aperte tutta la vita.
🙂
Grazie del bel resoconto.
f.
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Grazie Luisa..sempre interessante ciò che condividi.😍