Molto impelagata nella mia prima vita, costeggio la seconda con circospezione e per ora la studio da lontano.
Di varcare la soglia con la mia maschera in faccia come al ballo di carnevale o trasformata per magia in un’altra da me, a scadenza come Cenerentola, ancora non me la sento.
Sabato scorso sono andata al Festival della Filosofia di Roma ad ascoltare Guido Gerosa, autore di Second Life, pubblicato da poco da Meltemi. E’ stato interessante, ma mi sono anche venuti i brividi e quando si avvicinava l’incontro con Hanif Kureishi sono scappata via per non perdermi neanche una parola dell’autore di Intimacy, che ha parlato del rapporto con il padre, scrittore fallito, del vivere tra due culture, dell’amore tra due ragazzi, di quello tra un’anziana signora e un giovanotto, di corpi, di immaginazione e di sogni. Tutte cose che senti profondamente tue, che riguardano te, la tua famiglia, i tuoi amici, le tue aspirazioni e i tuoi fallimenti.
Oggi ritrovo Second Life e una recensione al libro di Gerosa sulla prima pagina del Tuttolibri della Stampa, che leggo con attenzione e curiosità, ma intanto mi prende il trafiletto di Dario Voltolini che, come me credo, la seconda vita la scruta a distanza:
Però la verità è che se io mi creassi un avatar, se io veramente volessi ricrearmi come avatar, onestamente direi che mi creerei per quello che sono e che non riesco ad essere nella prima vita. Mi spiego. A me, e credo a molti di noi, pare di non stare veramente vivendo. A me pare di stare inscenando una parte, o più parti, nessuna delle quali è veramente La Mia Vita.
Un senso di angoscia percorre le nostre vite, o perlomeno la mia, perché qualcosa non quadra, non collima, non combacia. Siamo noi e impersoniamo qualcuno di leggermente (o pesantemente) diverso da noi. Allora forse vorrei questo: vorrei sbattere tutta l’apparenza e la mistificazione della vita che faccio su qualche diavoleria informatica e restare avatar di me stesso, magari, se possibile, nel mondo reale.
Sfoglio il supplemento e a pagina 3 trovo un’intera pagina dedicata a Giorgio Morandi, che per decenni ha riscostruito e indagato il mondo e la vita spostando su un tavolo una decina di bottiglie – sempre le stesse – e poi dipingendole, disegnandole e incidendole. Il miracolo è che la vita ce la ritroviamo anche noi, viva e profonda, e ce la ritroveranno tante altre persone dopo di noi.
Pagina 8: Meglio essere giardinieri o cacciatori? è il titolo che introduce ai libri del sociologo della “modernità liquida” Zygmunt Bauman e mi riporta alla nostra ricerca incessante di territori da conquistare, di merci da consumare, di novità da cavalcare.
Il contrario del cortiletto di bottiglie di Morandi. Il contrario di quanto sto leggendo sul piccolo libro di John Maeda Le leggi della semplicità, che ho cominciato ieri sera e che tra poco finirò. Un inno – forse un po’ troppo semplice – alla concentrazione, alla riduzione di peso, alla fiducia, alla differenza, alla semplicità e all’essenzialità. Quella del design, della comunicazione, della scrittura. Del respiro, dei passi uno dopo l’altro, aggiungo io.
Quando mi sono appena affacciata a Second Life, ciò che mi ha fatto per il momento desistere è stato proprio il “peso” dell’avatar, come un ennesimo carico da portare addosso.
Come le stoffe rigide e scure che pesano sulle donne iraniane di cui parla Dacia Maraini nell’ultima pagina del Tuttolibri di oggi. Che, oggi, è così stranamente in sintonia con me: anch’io sto leggendo Leggere Lolita a Teheran.
Leggo il tuo post distesa su un prato lungo il Tevere. I bambini giocano e urlano. Un sabato di famiglia. Un saggio di ginnastica la mattina: bambini come piccoli militari di regime. Il pranzo in trattoria. Ora il torpore e l’incapacità di pensare. Solo la lettura del tuo post – approfitto per rispondere a un po’ di e-mail arretrate -. Questo il mio avatar reale. La conquista non cercata del profumo della primavera.
Grazie, Luisa.
Flavia