Quando scrivo meno sul blog è perché scrivo troppo per lavoro, cosa che mi sta succedendo in questi giorni.
Sono momenti in cui mi ritempro più facilmente con la narrativa, o con le immagini. Ho visto delle belle mostre, con gran corredo di parole, più o meno belle, qualche volta schizofreniche.
La mostra milanese di Kandinsky, per esempio, di cui ho scritto nel post precedente. Stupisce come tanto impegno di risorse, attenzione ed energie non sia stato minimamente dirottato verso i testi che illustravano le opere nelle diverse sale. Non tanto nelle prime sale dedicate all’artista russo, quanto nelle numerose altre che ospitavano le opere degli astrattisti italiani, meno conosciuti al grande pubblico.
Testi noiosissimi, fitti fitti di dettagli biografici inessenziali per la comprensione delle opere, tagliati male, con un linguaggio vecchio, una sintassi da tema liceale e una paura talmente ossessiva della ripetizione da indurre a sostituire più volte il nome della città di Como con il criptico “capoluogo lariano”. Ci ho messo un bel po’ a capire che volesse dire.
Eppure, per la stessa mostra, sono state ideate anche soluzioni abbastanza innovative di coinvolgimento dei visitatori: l’audioguida di Sgarbi via mms, o la possibilità di inviare una recensione e di vederla pubblicata sul sito.
Tra i tanti gerghi duri a morire, quasi mai si cita il beniculturalese, spesso una cortina fumogena di frasi fatte, che sfuma i contorni, diluisce i colori, allontana dalle opere, qualche volta per sempre. Tipo:
“Un’opera che suggerisce una riflessione sulla fruibilità dello spazio e sul confine che esso rappresenta, semplice convenzione o barriera da sfondare con prepotenza. Il percorso proposto vuole quindi porre l’accento su una dimensione percettiva, in cui un approccio ludico e uno più riflessivo dialogano, nutrendosi dell’invisibile strato di ricordi che intride le pareti del museo.”
Domenica mattina, altra mostra, altre parole. Al Chiostro del Bramante, a Roma, fino ai primi di maggio è di scena Annibale Carracci. Mostra superba anche questa, per quantità e qualità delle opere.
Eppure, parole semplicissime per raccontare un pittore difficile: sono le parole di Eugenio Riccomini, storico dell’arte allievo di Roberto Longhi, che nel lungo filmato conversa con noi spiegandoci le immagini che intanto scorrono sotto i nostri occhi.
Questa volta ho voluto farci caso: credo che per quasi mezz’ora il professore sia riuscito a non pronunciare nemmeno una volta una parola che non fosse tra le 7.000 del famoso vocabolario di base di Tullio De Mauro. Eppure, mai nessuno mi aveva spiegato con tanta chiarezza e profondità l’italianità della pittura di Annibale, la sua inquietudine di uomo moderno, la convergenza anziché l’opposizione con l’altro grande contemporaneo, Caravaggio.
Tutta la comunicazione della mostra riprende quel taglio e quelle parole, senza sbavature: dai brevi testi di accompagnamento nelle sale fino al sito web, che serve davvero da introduzione prima della visita, e poi per ricordare quanto si è visto.
Un libro: A caccia di farfalle. Manuale semplice e breve per guardar quadri e sculture senza complessi di inferiorità, di Eugenio Riccomini (Zanichelli 2005) >>
PS giuro che col prossimo post la pianto con l’arte e torno alla scrittura professionale.
no,non lo fare
sai portare l’arte come compagna del primo caffè del mattino
no, no, non piantarla con l’arte! perché dovresti?
Nooo!! Tu sei la maga del parlar d’arte. anzi, perché non scegli un autore di cui parlare, magari una volta al mese?
Sarebbe bello e stimolante!
Kiba
no, dai…ancora arte:o)
alb