Uno dei guru mondiali delle presentazioni, Garr Reynolds di Presentation Zen, dedica una serie di post alla presentazione che ha dominato la rete in questi giorni, quella di Steve Jobs.
L’ultimo, dedicato alle parole di Jobs, ha come punto di partenza un post del blogger di Seattle Todd Bishop, che si è tolto lo sfizio di sottoporre il testo del discorso a vari indici di leggibilità, simili al nostro Gulpease, e poi di confrontare i risultati con quelli dei discorsi che sempre in questi giorni hanno tenuto Bill Gates e Michael Dell.
Jobs vince per la semplicità della sintassi e il ricorso a un lessico di base che tutti possono capire, parametri che per l’efficacia della comunicazione sono considerati vincenti da sempre, da Ippocrate a Cicerone, da Einstein ai linguisti contemporanei.
Eppure il discorso dei discorsi, quello che tutti gli aspiranti public speaker studiano e mandano a memoria – I have a dream di Martin Luther King – se analizzato dagli indici di leggibilità dà un risultato medio, così come il solo testo prende e interessa, ma non commuove né trascina.
Le parole sono importanti — conclude Reynolds —, ma per entrare nella leggenda servono anche sincerità, capacità di empatia e sconfinata passione.
Luisa,
i post che linki sono di Garr Reynolds (e sono molto belli in effetti).
saluti
Verissimo, grazie.
Alla fine della giornata, blog e nomi si incrociano e comincio a fare confusione.
Però hai ragione: i post sono belli.
Luisa
A quanto pare, il vero punto di forza di MLK era la modulazione della voce.
Filter
Filter, grazie del link.
Molto interessante.
Luisa
Anche quello di Cicerone, se è per questo.
Un saluto (mi delurko, anche …) 😉