Prima o poi devo scrivere qualcosa sull’intervista. Non l’intervista giornalistica, ma quella che si fa all’interno di un’organizzazione per capire un progetto, un prodotto, o addirittura un’azienda intera. Quando devi scrivere, ti riempiono di brochure, comunicati stampa, presentazioni ppt, ma non c’è nulla che ti aiuta quanto parlare direttamente con le persone, sentire la loro voce per individuare la chiave giusta della comunicazione, il tono della “voce scritta”, quello in cui vorrei sempre che l’azienda alla fine si riconoscesse.
Prima prendevo frenetici appunti, ora non mi separo mai dal mio lettore mp3 che registra tutto mentre io posso chiacchierare tranquillamente con il mio interlocutore, scherzare e guardarlo negli occhi.
Non sempre la tua operazione maieutica prende subito la direzione giusta. Oggi mi sono ricordata di un bravissimo fotografo professionista. Quando, dopo aver scattato per decine di volte, non è ancora riuscito a cogliere l’essenza, l’autenticità di una persona, ricorre a uno stratagemma. Spegne tutto, fa per riporre la macchina e poi dice en passant: “Magari ora le scatto una foto per lei, da tenere in famiglia”, e scatta. Quasi sempre è quello lo scatto giusto.
Anch’io ho spento, e come d’incanto sono arrivate almeno due o tre cose interessanti. Anzi, le più interessanti.