Delle parole e delle immagini di Attilio Del Giudice ho già parlato qualche tempo fa sul MdS.
Le sue espressioni verbali e visive sembrano ritagliate sul nostro stile di vita, fatto di ritmi vorticosi che spesso ci vogliono privare del piacere della lettura lenta e lunga.
Attilio è un tipo pacato e tranquillo, scrive testi intensi e brevi e dipinge al pc piccoli quadri che fanno immaginare intere storie. Concentrati di parole e di colori che ti colpiscono in pochi secondi, entrano in te velocemente, anche se poi ci restano a lungo. Espressioni per tempi veloci, a misura di schermo di computer.
Anche i suoi romanzi hanno capitoli brevissimi. Nell’ultimo, La vita incagliata (Leconte, 15 euro), sono i momenti, gli sguardi e i pensieri di un ragazzino (dieci anni o poco più), casertano e figlio di un camorrista. A raccontarli dall’interno è Ninuccio stesso, con il suo linguaggio che mescola il dialetto, l’italiano della scuola, le male parole orecchiate dai grandi.
Ninuccio – che sembra crescere insieme alle pagine del libro – è un candido, innamorato della sua maestra e ancora sensibile e incorrotto pur a contatto quotidiano con una violenza primitiva.
Una storia a episodi, non sequenziali e non concatenati. Nessuno raggiunge le due pagine. Squarci di vita meridionale, tinti di rosso e traboccanti di sentimenti forti, con la morte che si affaccia ad ogni angolo.
Tra i personaggi spicca Angelina, la mamma di Nino, che compra ogni giorno un mazzo di rose per la figlioletta annegata anni prima e soffre con grande dignità le umiliazioni e le “sgummate” del disgraziato marito. Un’anima pura. Nino la adora e noi, dopo un paio d’ore di lettura adoriamo lui, il suo candore struggente, senza sapere come finirà la sua vita incagliata. Non importa. E’ la storia di tanti ragazzi del Sud, raccontata nel momento in cui gli esiti possibili sono ancora infiniti.