Lunedì pomeriggio tengo un seminario all’Università di Bologna sulla scrittura nelle aziende “dopo 10 anni di web”. Un titolo che abbiamo trovato con la docente Giovanna Cosenza per raccontare agli studenti come sono cambiati e soprattutto stanno cambiando sia il ruolo di chi scrive all’interno o per un’organizzazione, sia gli stili di scrittura. Una rivoluzione abbastanza silenziosa, ma secondo me tumultuosa. La famosa profezia del Cluetrain Manifesto (1999) – I mercati sono conversazioni – è solo ora che comincia a realizzarsi sul piano del linguaggio.
Le docenze sono sempre una buona occasione per riflettere. Per esporre e spiegare qualcosa a qualcuno – sul MdS o in un’aula universitaria – in maniera convincente, devo prima di tutto chiarire le cose a me stessa. Ed è quello che sto facendo stamattina: recuperando e sistemando idee, raccogliendo link ed esempi.
È buffo vedere cosa succede alle aziende nella ricerca del loro stile, del loro “tono di voce”.
Nessuno di noi inventa niente di eclatante, procediamo per scarti e piccoli passi, guardando alle cose belle e brutte che ci precedono e ci circondano.
Le organizzazioni hanno finalmente cominciato a superare i confini lessicali e stilistici che si erano autoimposte da decenni, e a guardare e ad attingere a modelli molto diversi da loro. C’è chi lo fa timidamente, chi con audacia, godendo visibilmente di una libertà ritrovata.
Il web, nella sua grande attuale confusione, ha il merito di abbattere i confini e rimescolare le carte.
In particolare, oggi mi ha colpito una cosa.
I siti di arte, cultura e letteratura, partiti in maniera molto più libera e fantasiosa, non fanno che avvicinarsi al modello “aziendale”: labelling asettico fatto di “chi siamo”, “i nostri servizi”, “lavora con noi”; rinuncia drastica alle metafore, sia verbali, sia visive, verdana 10… come se avessero bisogno di ribadire serietà e affidabilità.
Le aziende, al contrario, cominciano a osare, a usare le parole per far sognare e immaginare, o solo per raccontare chi sono realmente, cosa li distingue e come lavorano.
Che lo facciano aziende di moda o del settore alimentare, è normale. Il sito di Barilla ha un linguaggio coerentissimo, perché usa il registro linguistico della famiglia e della quotidianità, anche per presentare l’azienda (“Barilla si racconta”, introdotta da una citazione di Pietro Barilla)
Più sorprendente è il grado di libertà e fantasia che ho trovato di recente in alcune aziende italiane di informatica, tradizionalmente asciutte e tutte uguali.
Prendete eXstone, con un sito completamente ispirato al mare, anzi alla vela.
I titoli delle sezioni: la barca, gli orizzonti, le rotte, i venti, le manovre, le sfide.
All’interno, testi brevi e molto coerenti con quella che evidentemente è una passione reale dei fondadori dell’azienda.
Comunque, ciò che mi ha colpito di più è la home page con il verso di Jacques Brel: “Il solo fatto di sognare è già importante. Vi auguro sogni a non finire la la voglia furiosa di realizzarne qualcuno…”. La poesia per presentare sistemi informatici.
Ma ho anche trovato aziende di informatica che parlano di armonia, umanità, che raccontano storie e presentano persone in carne e ossa. Qualche volta in maniera un po’ forzata, qualche volta con troppe strizzatine d’occhio a zen e new age, ma trovo che sia comunque un bene che anche le aziende comincino a ricercare e a scegliere il proprio stile, per poi esprimersi come gli pare.
Non vuole essere assolutamente una provocazione, ma una semplice domanda interessata, perché volevo appunto farmi un sito improntato a una metafora estesa come quello di eXstone e mi è sorto il dubbio proprio guardando il sito: potrebbe esserci il rischio che un navigatore impaziente veda questa (splendida!) homepage, colga le parole barca, vela, equipaggio e pensi: “Ohibò, cercavo roba informatica e sono finito in un sito di gente che vende vele, me ne vado”?
A me non è successo e cercavo, appunto, roba informatica. Senza sapere assolutamente nulla di questi signori e di questa azienda.
Però ognuno di noi è diverso e naviga in doversi modi e con diversi obiettivi.
Quindi il dubbio mi pare più che legittimo.
Se cerchi proprio quell’azienda e sei motivato, secondo me non ti lasci fuorviare tanto facilmente. Se ci arrivi da un motore di ricerca, molto probabilmente capiti in una delle pagine interne, e allora lì i contenuti sono molto espliciti e non ti sbagli.
Comunque, se hai notato, in basso c’è una piccola scritta dinamica: piccola ma attira subito l’attenzione, con messaggi inequivocabilmente informatici.
E’ un indizio, una chiave, all’interno della metafora.
Il rischio che il navigatore se ne vada lo corriamo tutti, e sempre, ma penso che un po’ di originalità paghi, perché sono cose che parlano ai potenziali clienti anche di passione, accuratezza e attenzione al dettaglio.
Non è detto che questo funzioni sempre, ma mi incuriosiscono molto tutti i tentativi di uscire da un linguaggio del web sempre più standard.
Luisa
Grazie! E’ un’ottima idea quella di lasciare un indizio forte come la scritta dinamica in posizione ben visibile.
Anni fa (molto prima che nascesse il web) avevo fatto una brochure di presentazione ad un’azienda che opera nello stesso settore di ExStone. L’azienda si chiama CediMega. E’ di una somiglianza incredibile: stesse immagini, stesse metafore. Troppo incredibile…
Su ExStone ho un dubbio. Penso che la metafora sia molto bella e la suggestiva frase della Home Page che ti ha colpito, siano un buon mezzo per “pescare” i clienti, forse un po’ troppo evidente.
Se, invece, si rimane nello standard, non si è più credibili?
Gianluca
… la poesia sul sito di extone è moltomolto efficace e ben riuscita. Grazie della riflessione, tutte le riflessioni mettono in moto altre riflessioni… Mi concedo una domenica pensante! Mapi 🙂