scegli cosa leggere tra oltre 1.600 post

scegli per tema

segui il filo di un tag

Abby Covert Accademia della Crusca aggettivi Albrecht Dürer Alphonse Mucha Amedeo Modigliani Amos Oz analfabetismo Andrea Vitullo Andy Wharol Anna Proclemer Annamaria Testa appunti architettura dell'informazione ascolto avverbi aziendalese bambini Banksy Barack Obama Beppe Severgnini Bice Mortara Garavelli black list blog Bruno Munari burocratese Caravaggio Carmen Consoli carta vs schermo chiarezza citazioni cluetrain comunicato stampa comunicazione comunicazione della scienza comunicazione politica consapevolezza conversevolezza copywriting Correggio creatività customer care Dacia Maraini Dan Pink Dan Roam Daniel Kahneman David Weinberger design thinking diario Diego Velázquez disconnessione dizionari dizionario analogico don milani dueparole ebook Economist Edgard Degas editing editoria Edward Tufte Elias Canetti email Ernest Hemingway eye tracking Fabrizio De Andrè facebook Federico Badaloni Filippo De Pisis fonosimbolismo Fosco Maraini fotografia freelance Garr Reynolds genere femminile George Orwell Georges Simenon Gerry McGovern Giacomo Leopardi Giacomo Mason Giancarlo Livraghi Gianni Berengo Gardin Gianni Rodari Gianrico Carofiglio Giò Ponti Giorgio De Chirico Giorgione giornalismo Giotto Giovanna Cosenza Giovanni Bellini Giovanni Boldini Giovanni Fattori Giovanni Lussu Giuseppe Antonelli Giuseppe De Nittis Giuseppe Pontiggia grammatica guerrilla marketing guide di stile Guy Kawasaki haiku Heath Brothers Henri Matisse incipit india infografica inglese innovazione intelligenza artificiale intervista intranet Isabel Allende ispirazioni Italo Calvino Jack Kerouac Jakob Nielsen James Hillman Jhumpa Lahiri John Maeda Jonathan Franzen Jovanotti leggibilità Leonard Cohen lessico lettura link liste longform Luca De Biase Luca Serianni Luca Sofri Luigi Pintor maiuscole manuali mappe mentali Marc Chagall Marcela Serrano maria emanuela piemontese Maria Lai Mario Calabresi Mario Garcia marketing marketing del turismo Martin Lindstrom Martin Luther King Maryanne Wolf Massimo Birattari Massimo Mantellini meditazione Melania Mazzucco metafora microcontenuti Milena Agus mobile momenti Monica Dengo mostre musei naming Nancy Duarte Natalia Ginzburg Neil MacGregor netiquette neuromarketing Nicoletta Cinotti numeri Orhan Pamuk Pablo Picasso pagina bianca Paolo Iabichino paragrafo passivo Patrizia Cavalli Paul Auster Paul Gauguin Paul Klee piramide rovesciata podcast poesia powerpoint precisione preposizioni presentazioni Primo Levi pronomi public speaking punteggiatura retorica revisione Riccardo Falcinelli ricordi ripetizione ritmo Roberto Cotroneo Roy Bradbury Roy Peter Clark Ryszard Kapuscinski sanscrito scala dell'astrazione scienze della comunicazione scrivere a mano scuola semplificazione Seo Sergio Maistrello Seth Godin silenzio sintassi sintesi sketching social media spazio bianco speech writing Stefano Bartezzaghi Stephen King Steve Jobs Steven Krug Steven Pinker stile storie storytelling tagline technical writing TED tedesco terremoto Tim Berners-Lee tips titoli Tiziano Terzani Tiziano Vecellio tono di voce traduzione Tullio De Mauro typography Umberto Eco università usabilità verbi visual design vocabolario di base Wassily Kandinsky web writing yoga

risali negli anni

13 Aprile 2006

I noiosi titoli dell’era di Google

Prima i giornalisti scrivevano i titoli per i lettori e per i caporedattori, ora li scrivono anche per Google. Ma Google non ama i giochi di parole, il senso dell’umorismo, le metafore, le allusioni. Va piuttosto dritto al sodo. Tutto questo, secondo un articolo del New York Times di qualche giorno fa – The boring headline is written for Google – si starebbe ripercuotendo sullo stile dei titoli di giornali online, sempre più brevi (40 battute max), sempre più secchi e concreti.

Interpellati dall’autorevole quotidiano, gli esperti si sono divisi: c’è chi invita i giornalisti a fregarsene dei motori e a scrivere solo per il lettore, continuando a usare anche la parte destra del loro cervello, e c’è invece chi sostiene che la tecnologia ha sempre influenzato lo stile del giornalismo, ora come nel passato. Tanto vale adeguarsi.

Basta pensare che il famoso modello della “piramide rovesciata”, che tutti sembriamo aver scoperto con il web, ha origine nella seconda metà dell’800: gli articoli di giornale si telegrafavano, i collegamenti erano precari, e i giornalisti si preoccupavano prima di tutto di fare in modo che le informazioni principali stessero nelle prime righe. Se il collegamento si interrempeva, la notizia sarebbe comunque arrivata.

In ogni caso, i giornali online si stanno lentamente adeguando. I giornalisti della BBC usano due registri diversi: in home page il titolo per attirare i lettori “umani”, nella pagina successiva dove si legge il testo dell’articolo, un titolo più sintetico, orientato ai motori.
In questo senso, cambiano anche i titoli delle sezioni dei giornali: “Real estate” diventa semplicemente “Homes”, il più sofisticato “Scene” diventa “Lifestyle”, la rubrica “Taste” della versione cartacea diventa “Food” in quella online.

PS Nel mio piccolo, ho adottato una consolante teoria, non so quanto valida. Se sono gli umani a digitare le parole chiave su Google, è meglio preoccuparsi di scrivere per loro, con un lessico umano appunto, piuttosto che rompersi la testa con gli algoritmi dei motori. E se sono sempre gli umani a linkare le tue pagine e a far salire la popularity del tuo sito, questa è un’ulteriore buona ragione per scrivere per loro.

Categorie:

5 risposte a “I noiosi titoli dell’era di Google”

  1. Ciao Luisa, il search engine copywriting vive proprio in bilico tra scrivere per il lettore umano e scrivere per lo spider del motore di ricerca. Concordo con la tua ‘consolante teoria’ e aggiungo un’altra motivazione a favore dello scrivere per l’umano: una volta ottenuto il click dal motore di ricerca, è l’umano che invia una mail per richiedere informazioni, è l’umano che acquista un libro o un nuovo portatile, è l’umano che telefona per avere più informazioni, e così via. Insomma, è l’umano che può o meno generare il ritorno dell’investimento.
    Quindi, proprio perchè mi occupo di marketing nei motori di ricerca, credo che sia utile ‘fare l’occhiolino’ al motore di ricerca ma tenere sempre in primo piano l’essere umano.
    Miriam Bertoli

  2. D’accordo con Miriam; aggiungo che è estremamente interessante verificare i termini che le persone scrivono quando cercano sui motori di ricerca. Molto spesso sono fuori da regole grammaticali, sintattiche, ecc. Con Google&Co. si parla un po’ come se fosse HAL, di Odissea 2001 memoria. Le richieste sono “casa vacanze Sardegna”, “auto km 0”, ecc.; volendo incrociare queste query, necessariamente occorre sintonizzarsi su questo linguaggio. Insomma, è come quando devo cambiare “registro” ogni volta che mando un SMS a mia figlia 😉

  3. Ciao,
    una piccola considerazione.

    Proprio in questi giorni sto leggendo il libro “Business Writing. Scrivere nell’era di Internet” del famoso Alessandro Lucchini.
    Un capitolo del libro consiglia di usare le parole corte, perchè sono più efficaci nella comunicazione.
    E’ possibile che questo accorgimento aiuta a crescere la visibilità sui motori di ricerca?
    Gianluca

  4. “Parli tanto bene ma non ti sente nessuno. Ti sentono tutti ma dici sciocchezze.”

    Ciao Luisa.
    Concordo con quanto detto da Miriam precisando che gli editor CMS o di blogger più evoluti prevedono la modalità di inserire il titolo per i lettori e il titolo per i motori (tag Title) autonomamente.
    Questa possibilità dovrebbe venire incontro agli obiettivi della comunicazione: fare arrivare il messaggio efficacemente.
    Andrea Cappello

  5. Mi chiedo se questo discorso non meriti una collocazione più ampia. E’ vero e accettabile che la lingua si trasforma, come sempre è stato, ma diamo un’occhiata a questo tipo di modifica che attualmente la lingua subisce,.legata all’uso di nuovi mezzi di comunicazione , ambito nel quale si inserisce questo discorso su linguaggio per umani e linguaggio per macchine.
    Purtroppo ho la sensazione che il genere umano abbia un’insana predisposizione ad accettare di allinearsi sui livelli più bassi, quelli che costano meno fatica. Per far capire dove intendo arrivare cito Wittgenstein: “ i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo.” Appunto.
    Cerchiamo di capire a che cosa conduce l’impoverimento del linguaggio. La lingua italiana è ricca di sfumature, quindi ricca di emozioni, di perccezioni. Mi chiedo: che cosa si perde eliminando il congiuntivo? Credetemi. Non sono contraria all’evoluzione. Penso solo che le generazioni future abbiano il diritto ad un linguaggio pieno, adatto a tutte le potenzialità che il linguaggio ha nella comunicazione e nello sviluppo del pensiero. La soluzione; una scuola capace di esporre i ragazzi ad una lingua vera e ricca.
    elisabetta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *