Tutti noi comunicatori – e qualche volta formatori – ci riempiamo la bocca di conversazioni e conversational media, di lovemarks, di comunicazione “calda”, vicina ai cittadini e ai clienti.
Ma che succede quando la comunicazione deve essere calda ma formale, in cui bisogna muoversi tra mille vincoli, perché questo si può dire e questo no, perché questo va detto (la normativa lo impone) ma “dobbiamo cercare di essere sfumati”. Quando il cliente va trattato bene, ricolmato di attenzioni, ma senza soffocarlo?
Quando mi trovo in questi vicoli ciechi e il foglio bianco mi guarda in tutto il suo candore, tiro fuori il rimedio. In genere funziona, e ha funzionato anche stamattina.
È un breve brano dal libro di Emanuela Piemontese Capire e farsi capire. Teoria e tecnica della scrittura controllata:
“Un primo criterio per scrivere chiaro è scrivere come si parla. Il senso di questo criterio non è ignorare o appiattire le differenze, formali o sostanziali, che esistono tra scritto e parlato. Questo suggerimento che, ovviamente, non va inteso alla lettera, invita chi scrive a cercare la soluzione più semplice per esprimersi, pensando al modo in cui si esprimerebbe parlando.”
La soluzione più semplice per esprimersi: riparto sempre da lì.
io lavoro in un ufficio stampa: mi stanno inculcando il fatto che la comunicazione “piramidale” per punti è la migliore: quindi esprimere immediatamente il nocciolo del discorso. Come nel test dell’ascensore : immaginare di dover comunicare in 20 secondi un concetto. Esprimendo dunque subito in concetto base (la punta della piramide) e dopo – se rimane tempo – scomporre il discorso in sottoelementi di sostegno.
A me tutto questo pare davvero un metodo “aziendale” e povero, perchè non lascia spazio alla deduzione, che invece è il motore della fantasia e del cinema.
saluti,
IYIarco
Come fa la punta a diventare una base? In questo modo il discorso… traballa! Se proviamo a visualizzare questa piramide che oscilla sulla sua punta come una trottola, sventolando un’inutile base, che dovrebbe invece farle da appoggio… l’immagine non regge. Forse è il caso di farlo presente agli inventori della teoria?
Scoop Giornalistico: la Professione, L’etica e la Morale
di Giacomo Montana
Ci sono professioni che fanno vibrare di entusiasmo, questo perché ti riportano a quel grande sentimento che un tempo stimolava ed entusiasmava l’azione dei Padri, ma oggi il giornalismo non si fa così. Viene tutto filtrato, manipolato, in parte censurato. Il resto non viene neppure presentato e così via dicendo. Oggi la passione, lo slancio e il sacrificio delle imprese, nella impostazione e nella scelta degli argomenti, non può più tendere all’omaggio verso i valori tradizionali della missione del giornalista e del relativo potenziamento del suo vero talento. Il vero naturale e brillante professionista della carta stampata è completamente scomparso. Oggi lo Scoop viene ricercato di tipo facile, quello che serva a qualcuno e che non dispiaccia a molti. L’importante è documentare un fatto e più grave è, meglio è. Se per esempio viene segnalato alla Stampa un pericolo ove vi è a rischio l’incolumità di qualcuno, questo non viene assolutamente preso in considerazione. Ma se quel rischio causa un morto, allora come mosche sullo sterco, sono tutti attenti e all’opera per stilare un articolo. La sindrome della NON PREVENZIONE oggi è arrivata a contagiare anche i giornalisti. Tuttavia ciò accade non per colpa loro, ma per un sempre più marcio sistema, che lentamente col tempo e su questo sentiero non risparmierà nessuno. A quanto pare non importa più se il significato essenziale di un articolo non volge verso una profonda intonazione sociale ed etica, che aiuta, piace e avvince. Non interessano i momenti interminabili, fondamentali e tremendi della vicenda umana, né tanto meno l’angoscioso dramma di una vittima innocente di un’ingiustizia, di uno strapotere, di un delitto. E’ un florilegio di paradossi e di errori. Il buon senso a questo punto viene disintegrato dalla filosofia degli affari, sia economici che politici. E’ un modo di pensare che viene instillato ai giornalisti da chi ha il potere economico o politico. Ogni volta che però viene represso il buon senso a qualcuno, si uccide una parte di quella persona, di quel padre di famiglia, di quel professionista. Voi mi direte: “che significa reprimere il buon senso?” Significa accecare la coscienza, stordirla, ammutolirla, sopprimendo il potere interiore, in due parole, schiavizzando l’individuo. L’essere umano viene ridotto a merce da utilizzare a proprio piacimento. Il professionista viene trattato come un animale, da cui si deve trarre utilità, potere e profitto, anche se il prezzo che deve pagare sul piano umano e psicologico è enorme. Senza entrare oltre nel merito di questa questione e contestualmente ai probabili relativi danni alla salute che nel tempo potrebbero verificarsi, ricordo solo la necessità di dovere sapere e di considerare l’uomo e i suoi disagi, come prodotto trasformato dalla organizzazione sociale nella quale viene inserito. Chiunque abbia compreso voglia comprendere con rigore ed empatia a che livello decadente di società siamo approdati, inoltrandosi nel campo delle relazioni di aiuto e di ripristino della vera umanità, sempre più calpestata e danneggiata dal profitto sfrenato e criminale. Sono dell’idea che persone divenute gravi vittime dell’arroganza del potere, debbano avere voce e che non è ammissibile sotto ogni profilo mantenere di nascosto sempre più danneggiata, emarginata e umiliata una vittima del crimine.
Chi volesse vedere un esempio di che cosa si arriva mostruosamente a censurare per oltre un decennio dalla Stampa, legga e veda le prove documentali dei crimini impuniti nei sottostanti links.
http://sisu.leonardo.it
http://www.mobbing-sisu.com/cronaca_documentata_asl.php
http://www.mobbing-sisu.com/cronaca_documentata.php
Cordiali saluti. Giacomo