Esattamente sei anni fa, nel gennaio del 2000, stavo cercando di organizzarmi per scrivere quello che sarebbe diventato il primo timido manualetto italiano di scrittura per il web, poi ribattezzato il libretto rosa.
Un libro che non tocco e sfoglio da anni, perché leggerne anche solo poche righe mi fa arrossire e venire i brividi. Non tanto per il contenuto, che per qualche verso regge ancora, ma per la mia prosopopea e il mio tono imperativo, di cui oggi mi vergogno profondamente.
Il web è cambiato, insieme al mondo in cui viviamo, ma soprattutto sono cambiate le mie idee. Ho letto e scritto centinaia, forse migliaia di pagine da allora, ma i miei dubbi, i miei “dipende”, i miei condizionali sono aumentati in misura proporzionale ai miei approfondimenti e ai miei studi.
Forse è per questo che ho privilegiato il web come strumento e ambiente di comunicazione e pubblicazione rispetto alla carta. Per la fluidità, la possibilità di contraddirsi e di cambiare idea da un giorno all’altro, di mescolare personale e professionale, racconto e manualistica, regole e poesia. Per la possibilità di giocare con i testi con la giusta dose di leggerezza e incoscienza, e quindi di poter osare di più senza averne troppo l’aria.
Ma torno al libretto rosa. Se poco fa l’ho ripreso in mano, è perché tra ieri e oggi mi sono imbattuta nella parola “conversazione” e nell’espressione “conversational media” più di una volta. Amy Gahran, storica content editor americana ha aperto un nuovo blog, che si chiama The Right Conversation, oltre al suo Contentious. Non ne bastava uno? I blog sono facilissimi da aprire, ma un doppio blog di uno stesso autore non è garanzia di doppio contenuto o doppio valore.
Ormai parecchi anni fa, in una sua Bustina, Umberto Eco metteva in guardia dai media che precedono i messaggi: di fronte al dilagare dei blog, dei blog figli di altri blog, dei blog che parlano di libri, di blog che anticipano libri… mi sembra qualche volta di aggirarmi in meandri di canali vuoti.
E’ inoltre appena uscito il libro Naked Conversations, con annesso blog of course, scritto da Shel Israel & Robert Scoble e dedicato ai cambiamenti che i “conversational media” portano nel business.
Allora, in tutto questo parlare, in questa caotica conversazione planetaria in cui diventa sempre più difficile ascoltare e farsi ascoltare, mi è tornato in mente un piccolo paragrafo di Scrivere per internet in cui parlavo proprio della conversazione. Eccolo:
E non è solo questione di stile e di linguaggio: conversare significa anche empatia e contatto con il proprio interlocutore. Non siate autoreferenziali, assumete piuttosto la sua prospettiva e il suo punto di vista.
Io arrossisco dinanzi alla tua bravura.
Ciao
Gabri
Che buffo, anch’io oggi ho scritto di persone che non sono la tv… ma era uno sfogo legato al mio mestiere. Grazie per il tuo lavoro. Ciao, Rosanna
Il suo libretto rosa io continuo a consultarlo. Anzi, spero ne abbia in programma un altro. 🙂
Isabella
il libretto rosa l’ho letto tanto tempo fa: mi era sembrato un po’ sciapo e ricco di prosopopea, Mi fa piacere di non essere la sola a pensarla così, anche se dopo un bel po’ di tempo…
c.
Sei sempre fonte di sollecitazioni e pensiero.
Io scrivo (non bene come te e nemmeno con gli stessi successi) per il web e trovo che il fascino di questa professione risieda proprio nella capacità di metterti costantemente in discussione, di cambiarti ma di costringerti ad un’allerta linguistica costante che ti pone di fronte a bivi che ti impongono di imparare, sempre.
E in questo, credo, stia la grande dinamicità di questo media, a volerla vedere.
Complimenti
Francesca Sanzo http://tesserelarete.blogspot.com