Del libro di Luca Ricolfi Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori avevo già sentito parlare per bocca dello stesso autore in una intervista tv di qualche tempo fa. Non ci avevo più pensato finché un amico non me lo ha voluto prestare per forza “perché è un libro interessantissimo sul linguaggio”.
Vero. Il libro non si occupa minimamente delle proposte politiche di destra e sinistra, né del loro valore, ma del “modo” e del linguaggio in cui vengono espresse.
Da uomo di sinistra, l’autore indaga soprattutto le ragioni di quella strana cosa di cui tutti siamo più o meno consapevoli, anche se non ci piace ammetterlo: la sinistra è antipatica e spesso fa di tutto per esserlo.
A chi la sinistra la vota questa cosa dispiace assai, ma a chi la sinistra la guida questo libro godibilissimo e impietoso può (forse) fare un gran bene.
“Il linguaggio della sinistra è malato, gravemente malato” esordisce Ricolfi e spiega che non di malattia semplice si tratta, bensì di una complessa patologia, fatta di almeno quattro malattie croniche:
1) la preferenza per gli schemi secondari: un fatto non si spiega in sé, ma sempre alla luce di qualcos’altro, di un ideale, di un’ideologia, di un contesto; così proliferano gli aggettivi “tendenziale”, “relativo”, “transitorio”, i verbi “sembrare” e “apparire,” le espressioni “in realtà”, “se inserito nel giusto contesto, nella prospettiva, nel contesto storico…”
2) la paura delle parole, che ha portato al dilagare del politicamente corretto – che già agli inizi degli anni 80 Natalia Ginzburg bollava come “ipocritamente” corretto -: mentre la realtà e le immagini che ci arrivano per televisione, sullo schermo del computer e del telefonino sono sempre più devastanti e crude, le parole della politica – ma anche della famiglia, dei giornali e della scuola – si allontanano dalla realtà, verso derive sempre più eteree e sfumate, oppure verso il cliché…, “un linguaggio imbelle, che arretra di fronte alla pietrosità delle cose” scrive Ricolfi
3) il linguaggio codificato, quello che serve da sempre a capirsi all’interno di un gruppo e a escludere gli altri, “un linguaggio che manda in esilio le cose e le sostituisce con formule astratte e parole vaghe”: “Senza il riformismo di matrice socialista non c’è sinistra di governo e si rischia una frattura fra questione sociale e prospettiva politica. Il problema vero, quindi, è in una nuova sintesi politica e culturale.”, le 3 G di Fassino “G come genti, G come generi, G come generazioni.”
4) il sentimento di superiorità morale, quello che fa dire e scrivere di rappresentare “la parte sana dell’Italia”, “la società civile”, che invita a non votare gli avversari per “salvare il paese”.
La malattia non è di tutta la sinistra, così come non ne è immune tutta la destra. Sicuramente ne è immune la gran parte della “società civile”, di destra e di sinistra. Ricolfi ne indaga le ragione storiche e propone anche alcune cure prima che sia troppo tardi. Per riportare le parole alle cose e per “dissipare la nebbia”, come scriveva Natalia Ginzburg, una donna di sinistra cui il tema dell’onestà delle parole e della loro aderenza alle cose stava veramente molto a cuore.
Sono convinta soprattutto del punto 2: la paura delle parole. La “pietrosità delle cose” costringe ad affrontarle, quando si ha il coraggio di chiamarle con il loro nome. Ma la tendenza a edulcorarle impera e il risultato è che non si cercano soluzioni. Un esempio fra tanti: gli handicappati sono diventati prima portatori di handicap, poi disabili, quindi diversamente abili o diversabili, ecc… e nel frattempo quante barriere architettoniche sono state abbattute? Quante decisioni concrete sono state prese a loro favore? Definire correttamente un problema significa volere veramente la sua soluzione: non dovremmo mai dimenticarlo.
Seguito un po’ di percorsi interessanti. E arrivato qui. Grazie, molto interessante. Cyrano.
Ahimè le cose dette sono in gran parte vere. C’è difficoltà a comunicare a sinistra. Un esempio lo dimostra la seconda ccampagna elettorale quando si parlo di tassazione sulle ricchezze. Si presentarono a sinistra con diverse cifre. C’era chi diceva che per ricchi si intendevano quelli che guadagnavano più di 80000 euro all’anno chi diceva che erano richi quelli che ne guadagnavano 60000. Ora un’italiano coscenzioso, che non si ferma alle parole discordanti ma ragiona sulle cifre, capirebbe che anche se avessero detto che era ricco chi ne guadagnava 40000, che è il doppio di quello che guadagna un operaio, e che più del 80% degli italiani ne guadagna 20000 all’anno circa, sarebbe stata una cosa giusta tassarli di più. Solo che l’italiano medio, parola che odio, sente due diverse voci, e anche se copmunque non è toccato da ciò perchè il suo stipendio è nettamente inferiore dalla più bassa di queste cifre citate, si impaurisce. Se in più ci si aggiunge la straordinaria abilità della destra di manipolare le parole, di approffitare degli sbagli altrui e di creare sogni la frittata è fatta. Inoltre il linguaggio della sinistra è troppo tecnico per la media della popolazione. Cioè a me fa davvero piacere sentire Prodi ed Amato che citano le cifre del governo, e sentire poi il commissario europe che le conferma e ci fa i complimenti per aver risanato parte del defici pubblico, ma d’altra parte capisco che essendo la maggior parte delle persone ignoranti dei meccanismi del governo, sentendo tutte queste cifre e questi conti si annoi, e magari a questo preferiva lo slogan di Berlusconi “va tutto bene ed andiamo avanti”. Il guaio è che nel nostro mondo la comunicazione è tutto, e dato che i giornalisti fanno il loro lavoro, quello di smentire le affermazioni false di uno o dell’altro politico, succede che gli italiani credono e si fidano delle cose dette da quello che le sa dire meglio!
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