Non sono solo canzonette, ma lo strumento espressivo perfetto per le nostre emozioni, lo specchio del nostro modo di essere nel mondo.
E’ partito da lontano, il professor Roberto Vecchioni lunedì sera all’Auditorium Parco della musica.
Ha fatto prima ascoltare un canto australiano, molto simile a quelli che millenni fa gli uomini cominciarono a cantare per sentirsi più vicini al divino e in sintonia con il ritmo dell’universo. E’ passato dalla Grecia del VII secolo, dove il “canto naturale” diventa “canto culturale”: Archiloco è il rock, Saffo la melodia. Tutto parte a lì.
Ma il secolo della canzone è quello appena finito, il Novecento. Come molti, non avrei mai immaginato che Come pioveva, un dialogo semplice tra due persone che parlano il linguaggio di tutti i giorni, fosse del 1918. Semplice e moderno, come i colloqui di Gozzano.
Da una “canzone gozzaniana” alla lettura di Volare come il simbolo della vita di un uomo: prima si crede di poter fare tutto da soli, sempre più su, sempre più in alto; poi i sogni svaniscono, ma il blu del cielo diventa quello degli occhi di una donna, e si vola lo stesso, ma senza cadere.
Il professore parla, tira fuori i suoi lucidi, confronta i testi: prende il Roxi Bar di Vasco e il Bar Mario di Ligabue, li confronta riga per riga, il bar della solitudine e il bar della condivisione.
Parla della lingua metafisica di De Gregori, di quella impressionista di Carmen Consoli, che ci porta verso un’altra canzone italiana, tutta in laboratorio, che ancora non conosciamo.
Mi piace che dopo il post dedicato alla Magia romana
tu abbia inserito questo, Luisa, dedicato alla magia della musica.
Mi piace per svariati motivi, alcuni personali, altri condivisi.
Ascoltare Roberto Vecchioni è partire per un viaggio
di conoscenza ed emozione, fuori e dentro di sé.
Che parli di testi propri o altrui non fa differenza:
scava l’anima delle parole, attinge ai loro significati più riposti,
accompagnato da rispetto e amore.
E così parte dell’analogia si svela: anche il viaggio
che affrontiamo insieme ad Alessandro
per La magia della scrittura è improntato allo stesso sentire:
ruotiamo intorno alla parola, incantati dai suoi prodigi,
consapevoli delle nudità che il suo abito svela.
Mi piace, e se esistono le affinità elettive,
questi due post sono qui, vicini, per qualche perché.
🙂
annalisa
perché allora non unire a questa esperienza alla lettura de Le parole non le portano le cicogne, che esalta in modo delizioso le passioni filologiche del professor Vecchioni, nell’ipotetico dialogo di un suo alter ego con una liceale? io ci ho trovato molto da sorridere e molto da scoprire…
c.
chubbyhuggs, sono d’accordo sul libro, che sorride da tempo, qui, nei dintorni della mia scrivania 😉
annalisa
[…] della Musica di Roma, ne rimasi incantata e per non dimenticare quella magia ci scrissi subito un post. Sabato sera ho ritrovato quel professore competente e appassionato nei cinque minuti in cui ha […]