Mi ricordo che quando ero piccola il verbo “volere” era bandito sulle labbra di un bambino. Alla prima frase desiderante espressa in maniera troppo perentoria, la risposta era “L’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re!”. Frase, se ci penso ora, non così facile da capire, ma evidentemente il tono della mamma era fin troppo eloquente. Allora si aggiungeva il “per favore” o si virava rapidamente verso “vorrei” e “mi piacerebbe”.
A molte aziende di oggi farebbe bene ricordarsi della semplice frase fiabesca. Soprattutto quando comunicano sul web. Soprattutto quando sono aziende di comunicazione.
“Il sito vuole essere un autorevole punto di riferimento nel vasto panorama della comunicazione online”.
“La nostra azienda vuole proporsi come partner privilegiato delle pubbliche amministrazioni nel campo della formazione”.
“Vogliamo proporci quale punto di riferimento per tutti coloro che lavorano attorno alla complessa questione dell’informatizzazione delle piccole e medie imprese”.
“La nostra è una realtà giovane e dinamica, di nuova costituzione, che vuole proporsi quale strumento per gli operatori del settore turistico”.
“Siamo un’associazione che aspira a proporsi come una vetrina promozionale per incrementare la visibilità delle strutture collegate”.
Quando ci si presenta ai potenziali utenti e clienti, il verbo “volere” si colloca nello strano spazio tra presunzione e incertezza. Nessuna delle due funziona.
Il “vogliamo” mi sembra sempre che spenga sul nascere la relazione che si desidera creare. Quando è associato ad aggettivi e sostantivi autoelogiativi quale “autorevole” e “punto di riferimento” l’effetto è per lo meno fastidioso.
Quando “vogliamo” essere, vuol dire che non siamo ancora, e forse non saremo mai.
Se “i nuovi mercati sono conversazioni” – e sicuramente lo sono -, non credo che affermare di volere serva a molto. Chi, parlando con qualcuno di cui vuole catturare l’attenzione e il favore, parlerebbe così?
Fare una buona comunicazione sul web penso significhi anche abbandonare le formule stereotipate e le frasi velleitarie per raccontarsi con semplicità e trasparenza, con il proprio tono e stile di voce. Pensando sempre che chi legge la propria opinione sulla nostra competenza, autorevolezza e anche simpatia, se la fa da sé, senza fidarsi delle nostre dichiarazioni.
Questa dell’erba non mi è nuova,siamo cresciuti un po’ tutti con questo modo di dire, forse però con il tempo abbiamo imparato che non si può sempre “volere” e che a volte è meglio ” non volere” oppure “rinunciare”.
Tutto al primo impatto fa un brutto effetto,tranne il verbo “Volere”,lui sta li fiero nella sua magnificenza e ci guarda tutti dall’alto in basso.A volte ci dimentichiamo che siamo umani,e che abbiamo sempre a che fare con umani proprio come noi.
(Ciao Luisa!!!) Hunt=(Giulia)
Forse l’uso del verbo “volere” è strettamente collegato ad un altro modo di dire “Volere è potere”.
Secondo me le aziende lo usano per comunicare con maggiore enfasi la propria voglia di raggiungere l’obiettivo che si sono prefissi.
Ciao Luisa, stella-marina
… ops Ho appena scritto dei testi per un sito web. Corro a controllare se ho usato il verbo “volere” (anche se non mi pare).
Grazie
Non sono del tutto d’accordo. Concordo sulla condanna degli autoelogiativi (vale anche per i mefitici “Distinti saluti”. E chi lo dice che sono distinti, i tuoi saluti?). Credo però che esprimere una volontà netta non significhi necessariamente, per un azienda o per un professionista, elogiarsi, ma anche mostrare decisione e fermezza d’intenti. Una giovane azienda che “vuole affermarsi come leader di questo mercato”, a me ispira simpatia e fiducia. A voi no?
Un piccolo ricordo d’infanzia. Nella sua pedagogia un po’ autoritaria, anche se bene intenzionata, mio padre aveva messo in alto su un armadio certi giocattoli che la mia sorellina si ostinava a reclamare con un “voglio”, sperando che così imparasse a dire “per favore”. Dopo un fragoroso pianto, lei dichiarò: “ma lo volete capire che io per favore non lo so dire?”
Passando a questo blog per strani percorsi….sono caduta proprio in questo post.
Oddio sto lavorando su me stessa per il contrario.E ci credo:eccome.
Vorrei/dovrei pone una condizione che ti arena lì dove sei….Voglio e posso sembra traggano in inganno.ma talvolta l’inconscio va ingannato…tutto ciò che diciamo al nostro inconscio: lo prende per buono.
supponendo che già la si possieda la condizione ideale.
Chiunque si fermi al dovrei….vorrei non si sentirà mai all’altezza. E tutto ciò nulla ha a che vedere con la buona creanza o col “pretendere”…….
Il linguaggio crea un pensiero che crea un’emozione che crea tutto il resto nel bene e nel male.
Voglio quindi diventa fondamentale per proiettarci oltre le barriere di tabù e banalità che incacreniscono i nostri pensieri.
ciao Percy