Ho scritto decine di discorsi per presidenti e amministratori delegati. Per le occasioni più diverse e per i personaggi più diversi.
Chi vuole fare con te ogni rilettura, disquisendo sull’opportunità di espressioni e virgole, e chi prende tutto senza discutere e si legge il suo discorso in santa pace.
E’ un’attività, quella di speechwriting, considerata una grande seccatura, ma a me è sempre piaciuta molto.
Forse perché quando scrivi qualcosa che deve essere letto quello che conta, ancor più dei contenuti (la gran parte delle occasioni sono puramente formali), è il ritmo. E il ritmo è ciò che cerco e curo di più in ogni tipo di testo.
A scrivere discorsi non ti insegna nessuno e non sono mai riuscita a trovare un testo decente che ti dia qualche indicazione.Le regole di base che ho sempre osservato sono però abbastanza semplici:
- documentarsi benissimo sul tema e soprattutto sulle fonti più diverse
- avere un colloquio ben preparato con il top manager in questione, sottoporgli una prima scaletta e capire se ci sono e quali sono le sue opinioni rispetto al tema; alcuni le hanno, altri no: in questo caso supplite voi senza troppi complessi
- conoscere la persona, i suoi ritmi, le sue manie e idiosincrasie; una cosa non sempre possibile, ma in questo caso chiedete a chi lo conosce meglio e lavora direttamente con lui
- fatevi raccontare da lui/lei, se ci riuscite, un episodio personale o un ricordo che possono essere inseriti nel discorso
- una volta preparata la scaletta, mescolate un po’ le carte: cominciate (o concludete) con il titolo di un giornale, una citazione, i versi di una poesia o di una canzone, i risultati di una ricerca; ma niente di scontato e di già sentito: tutto ciò che è inaspettato rialza l’attenzione dell’uditorio
- ma quando introducete un registro diverso, un salto stilistico, non lo annunciate prima: non “ora per finire vi racconterò una illuminante storiella zen, tanto per alleggerire…”, fategliela raccontare e basta
- la monotonia lessicale è la morte di un discorso, soprattutto su temi molto specialistici: variate, anche se i sinonimi non lo sono poi così tanto; la precisione – essenziale sui testi destinati alla stampa – può sfumarsi un po’ quando le parole “volano” e suono e ritmo sono ciò che conta di più
- diversa è invece la ripresa consapevole di parole-chiave lungo il discorso (ricordate Martin Luther King: “I have a dream… let freedom ring”?)
- bandite ogni parola ed espressione gergale che si regge (a malapena) sulla carta, ma fa ridere i polli se qualcuno la pronuncia
- scrivete frasi brevi: devono poter essere pronunciate con agio, senza strozzarsi, ma soprattutto devono dare all’oratore la possibilità di fare spesso delle pause per guardare in faccia l’uditorio
- non preoccupatevi troppo della correttezza grammaticale e della completezza canonica delle frasi: fate a meno dei verbi, se vi fa comodo; cominciate pure con “e” oppure con “per” o con qualsiasi altra preposizione volete
- organizzate sì il discorso in maniera sequenziale, ma fate attenzione a scandirlo in moduli ben precisi e un po’ autonomi: soprattutto in una tavola rotonda, il tempo può essere dimezzato improvvisamente, un passaggio può diventare poco opportuno, qualcosa l’ha già detta meglio qualcun altro; il vostro presidente o amministratore delegato deve poterne fare a meno velocemente senza andare nel panico
- conservate con cura tutte le stesure e tutti i discorsi con indicazione dell’occasione e data: non avete idea di quanto tornano utili, anche per persone diverse.
Anche a me è capitato di dovere scrivere testi letti da altri. Ho esperienze diverse. Da quelle dove è stato possibile almeno uno scambio di idee con il relatore alla mia ultima esperienza.
Mi è stato chiesto di scrivere un intervento per una conferenza stampa per una persona che conosco solo per la sua funzione e con poche indicazioni sui contenuti.
Ci ho messo del mio. Salvo poi scoprire, domenica leggendo il giornale, che quella persona aveva dichiarato cose molto simili a quelle che le avevo messo in bocca. Una soddisfazione e un’iniezione di autostima.
Alle tue regole, che sottoscrivo, aggiungo un consiglio. Se il testo viene poi distribuito (ad esempio alla stampa) meglio aggiungere (coem si usa in SVizzera) “Fa stato il testo effettivamente pronunciato”.
Ciao, Matteo
Una volta il Sen. Luigi Granelli mi disse che il vero politico parla sempre a braccio, e mi citò Scalfaro e Fini, uno esempio di antica retorica(aveva comunque una scaletta, tipo parroco) e l’altro chiaro, conciso, semplice, perfino banale.
Forse parla a braccio anche per far vedere che è lui e non un altro che gli scrive i discorsi: non so Bush sicuramente se li fa scrivere, Clinton pare sia brillantissimo. Una volta i partiti maggiori facevano scuola di comizio, oggi al massimo si impara un po’ a parlare in Tv, peccato, credo che la retorica politica, con tutti i suoi difetti, fosse un’ottima scuola di comunicazione. Un po’ come l’Omiletica: il Papa in uno dei suoi primi documenti(1979) sull’Eucarestia(In coena Domini) raccomandava l’Omelia che fosse preparata, chiara, soda, mai improvvisata. Ma l’Omiletica si insegna ancora nelle Chiese? Per esempio il Papa aveva il dono di inframezzare concetti teologicamente complessi, termini filosofici ed immagini liriche, battute. E’ solo un dono?
Anch’io faccio stretching ogni mattina, iniziando la giornata con un post o una recensione 🙂
ciao bel blog.
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