Una domanda che mi viene fatta spesso riguarda il costo delle parole e le “tariffe” di un copywriter. Non so assolutamente rispondere e io stessa a volte non so come regolarmi quando devo farmi pagare. Ci sono tante variabili in gioco e in genere mi faccio aiutare dal buon senso. Per il web, ho provato a buttare giù qualche indicazione, che penso valga anche offline.
Sicuramente la classica “cartella” non ha alcun senso. I testi brevi e leggeri costano infinitamente più fatica di un lungo articolo, lo sappiamo tutti. Penso che l’unico modo serio per cliente e copy sia il costo a progetto, grande nel caso di un sito, piccolo in quello di una leggera brochure.
Una forte discriminante per me è il materiale di partenza: scrivere è solo l’ultimo atto di un processo molto più lungo che parte dalla comprensione del brief e passa attraverso lo studio e l’assimilazione del tema sul quale dobbiamo scrivere. Se il materiale di partenza è chiaro e ci viene fornito con ordine e tempestività, il nostro lavoro sarà più leggero. Se, come spesso accade, dobbiamo studiare del materiale molto eterogeneo o addirittura fare un lavoro maieutico per chiarire al cliente stesso che cosa vuole, le cose naturalmente cambiano.
Un altro elemento è la complessità degli obiettivi che ci si chiede di raggiungere. Un testo concentrato e brevissimo che deve al tempo stesso informare, sedurre, evocare, convincere a leggere un intero sito può essere più costoso di un lungo redazionale.
Stamattina, però, l’editoriale di Enrico Cogno Quanto costa una parola? sul sito della Ferpi mi ha consolata. Il problema del valore economico delle parole non è solo mio, solo nostro. E’ di tutti, ed è di difficilissima definizione.
Cogno offre degli spunti molto interessanti, ai quali aggiungerei una mia considerazione. C’è un altro elemento che tutti noi eludiamo e con il quale è difficile confrontarsi: quello del nostro personale talento, che rende le nostre parole uniche rispetto a quelle di un altro professionista. In virtù di questa unicità, le nostre parole possono essere poco o molto costose. Ci sono copy mediocri, molto meno originali di noi, ma ce ne sono altri molto più bravi. Riconoscere queste differenze può far male o bene, ma può anche aiutarci a valutare il valore economico delle nostre parole.
tutti hanno la presunzione di saper scriversele da da soli le proprie cose. motivo per cui noi copywriter, fuori dalle agenzie, siamo una specie in via di estinzione. invece, per quanto riguarda l’art direction, la grafica, l’impaginazione il know how tecnico di un buon grafico o di un art director sono molto più indispensabili. il copywriter è un mestiere d’arte (per citare pirella) e esigerebbe più rispetto. ma, forse, siamo noi copywriter per primi, con la qualità del nostro lavoro, a dover convincere la gente a non dire le cose con parole proprie, ma con parole nostre. le campagne coop per esempio sono un ottimo punto di partenza maieutico. non credo che la coop da sola sarebbe stata in grado di darsi una veste simile, forse anche perché non del tutto conscia di averla. Il lavoro aggiuntivo di un copy, per esempio nel pay off “la coop sei tu” non è solo un lavoro tecnico. E’ quasi un lavoro “filosofico”: saper vedere oltre la richiesta del cliente, per dirgli quello che il suo io, nascosto (quello che in realtà lui vorrebbe essere) ha da dirglio. Direi quasi, una seduta psicoterapeutica.
Right onthi-s helped me sort things right out.
Sottoscrivo tutto, Luisa. Aggiungerei solo che anche il costo a progetto in molte occasioni mostra la corda: scrivi una frase che non è un titolo ma lega bene certe parti importanti del catalogo che stai scrivendo e poi te la trovi come payoff, ovviamente non pagato, nella campagna che l’azienda dopo qualche tempo gestisce per conto suo. Ed è qui cominci a non trovare più al telefono il tuo cliente, quello che ti eri coltivato maieuticamente…
Seguo il tuo blog con interesse e vorrei chiederti un consiglio: sto pensando di partecipare ad un master organizzato dall’università degli studi di Firenze che si chiama “Digital writing – scrivere per i nuovi media”, ne hai qualche notizia? Il direttore del corso sostiene che è un esperienza unica in Italia. Sono un po’ dubbiosa, per l’impegno che mi richiederà e per il costo, ma soprattutto per i reali sbocchi professionali che un corso del genere puo’ offrire (dura 10 mesi).
un saluto
vedo anzi leggo che i problemi sono uguali per tutti.
la pratica è quella di girare intornoal problema, guardarlo da tuti i possobili punti di visat, ed avolte è più importante quello del cliente che quello del target.
per dirla in breve “attac u ciocc, ndò vol u padron” (traduzione: lega l’asino nel posto ritenuto più corretto dal legittimo proprietario).
non dimentchiamo che diamo voce alle emozioni di chi si fida di noi, non deludiamo, stupiamo.
Inizio a pensare a compensi in forma di baratto o scambi di natura produttiva.
Il problema nasce quando per due mesi di fila i Clienti appartengono soltanto ad aziende siderurgiche o elettromeccaniche…
Un tecnico della comunicazione pubblicitaria (storyboarder) che lavora, con P.Iva, all’interno di un’azienda specializzata in produzione di spot radiofonici guadagna all’incirca 135 euro + IVA al giorno. Un copy, suppongo, dovrebbe guadagnare di più, ma non ho idea di quanto esattamente.
Cara Luisa, sei bravissima.
Pensi da dipendente. E’ un bene ed è un male.
Luisa,
alcune agenzie americane applicano una tariffa a parola per i testi di tipo “redazionale”.
La tariffa dipende dalla qualità dei loro copy che può andare dai 50 centesimi ai 2,50 dollari a parola.
Succo