… mi trascino negli appunti da mesi la risposta del direttore del Manifesto Riccardo Barenghi a una bella lettera che chiedeva “Ma come scrivete al Manifesto?”. Prima o poi la perderò, è più sicura sulle pagine di questo blog.
Dunque, il lettore chiedeva una maggiore attenzione a ricercare una forma e uno stile di comunicazione che tenesse maggiormente in considerazione l’obiettivo di un giornale: comunicare, far arrivare il messaggio a più persone possibili con la capacità di trattare anche temi e problemi complessi in maniera forse non semplice, ma chiara.
Risposta di Riccardo Barenghi:
“Sarebbe fantastico riuscire a trovare il giusto equilibrio nella scrittura, che poi significa banalmente raccontare un avvenimento, un argomento, una questione, una recensione, una critica, un’idea, trasmettendo al lettore tutto quel che si deve trasmettere, scritto nel miglior modo possibile, che sia ovviamente comprensibile ma non ovvio. Basterebbe a volte che chi scrive si mettesse nei panni di chi legge per riuscire a comunicare, quindi a non far cadere nel vuoto, qualunque notizia (anche i commenti, le idee alla fine sono notizie, novità).
Invece non sempre noi (come altri dello stesso mestiere, cioè quello di scrivere) facciamo questo esercizio, magari perché troppo coinvolti nella materia che trattiamo, della quale abbiamo mutuato il linguaggio (il politichese, il sindacalese, il culturalese, il critichese), o perché ci autocelebriamo nella nostra scrittura. Ci scriviamo addosso. A me non piace affatto l’omologazione, di nulla e quindi neanche della scrittura. Altrimenti tutto il giornale sarebbe uniforme e dunque noioso, e così tutti i libri, i discorsi e via dicendo. Come penso che ci siano generi letterari diversi nel trattare una notizia (nel senso in cui dicevo prima), dove una magari ha bisogno di una certa leggerezza, al limite anche superficialità, mentre un’altra no, chiede profondità e al limite anche una certa complessità.
Penso cioè che una cronaca politica non debba essere scritta come una recensione letteraria e viceversa. Ma neanche che la recensione letteraria venga scritta per forza come recensione letteraria, e sempre viceversa. Se insomma la politica la capiscono solo gli addetti ai lavori e la letteratura o il cinema pure, vuol dire che abbiamo fallito l’obiettivo. Che per un giornale, cioè per un mezzo di comunicazione di massa sarebbe appunto quello di comunicare alla massa e non a pochi intimi eletti. Basterebbe rispettare una regola elementare non scritta, che non è soggetto-predicato-complemento (anche), bensì il fatto che chi fa il nostro mestiere produce un servizio (non a caso gli articoli si chiamano anche così) per coloro che leggono. Cioè comunica qualcosa, informa di qualcosa.
Dopo di che, finita questa mia pedante lezioncina, divertiamoci. Sperimentiamo, innoviamo, azzardiamo, giochiamo con le parole, storpiamo anche il linguaggio consolidato. Sbanalizziamolo. Ma mantenendo un punto fermo: quando chi ci legge arriva alla fine del pezzo non deve avere negli occhi quell’espressione un po’ così di chi non ha capito un cazzo.
Questo signore è un genio!
Mi è piaciuta molto questa lettera.
Ciao
Elfuccia
That’s cleared my thoughts. Thanks for conrgibutint.