E’ facile sentirsi improvvisamente stranieri e senza punti di riferimento in una città, la mia, che non è proprio una città, ma un mondo. Fatta di catacombe, di villaggi, di palazzi, di chiese, di parchi, di piazze, di fontane. Persino di piccolissime piazze che contengono immense fontane. Basta entrare da un’altra parte, sbagliare strada, e non sai più dove sei.
Oppure ti muovi in quartieri che credi di conoscere da sempre e basta voltare un angolo per sentirti in viaggio, come se non fossi appena uscita dall’ufficio, ma appena arrivata in una città straniera, col tuo zainetto sulle spalle, i tuoi piedi per percorrerla, i tuoi occhi per meravigliarti.
Eppure dovevo solo lasciare una busta in una stradina dal nome magico: Vicolo di Orfeo. Sarà stato quel nome, o forse il cortiletto che portava alla silenziosa sala da meditazione, a farmi cadere nella piccola trance metropolitana. Ma quel trapezio di stradine ordinate ai piedi del grande abbraccio del colonnato di S. Pietro mi è sembrato un villaggio di sogno, tranquillo e sereno come il suo nome: Borgo Pio.
Con le sue case insolitamente piccole e basse per la maestosità cui siamo abituati noi romani e le botteghe specializzate come non se ne trovano più, i banconi di legno, le vetrine confuse come nei paesi di una volta. Nella vetrina del calzolaio, scarpette e stivali di tutti i colori aspettavano i proprietari. La minuscola ferramenta esponeva grappoli di spago, collane di catene e colonne di barattoli di vernice. Dalla fonderia, specializzata in campane, arrivavano sinfonie di metalli. E infine, mentre l’orologio mi faceva affrettare il passo, il negozio delle icone: non solo madonne sui sottili strati di legno, ma due intere pareti di cartoline, segnalibri, calendarietti, cartelline con l’unico soggetto di Maria e il suo bambino.
Ci tornerò presto. Per completare il sogno.
Cara Luisa, mi hai fatto venire nostalgia di venezia… il modo migliore di esplorare venezia è perdercisi – tanto è abbastanza grande da permetterti di farlo, ma non abbastanza da renderlo pericoloso… se proprio non ti ci ritrovi più devi solo cercare qualcuno da seguire: prima o poi o ti porta a casa sua oppure si innesta nel flusso maggiore che inesorabilmente finisce nelle tre vie migratorie turistiche. E’ praticamente assiomatico. 🙂
(come dice Marco Paolini: a venezia il turismo è industria pesante!)
così puoi scoprire cose deliziose, col solo difetto che non è poi detto tu le riesca a ritrovare… questo però non fa altro che aumentarne la magia, in un certo senso… c’era ad esempio – verso san polo, se non ricordo male – la casa dei segnavento: chi ci abitava si fabbricava buffi segnavento – omini e donnine che si rincorrevano inutilmente, galletti, girandole e strani animali – che riempivano la stretta fascia di cielo sopra la testa di chi passasse in calle con fischi sibili e lampi di colore, ma bisognava passarci in un giorno di vento, ovvio…
eh sì, mi piacerebbe proprio passare dai tolentini per andare a prendere la mia amica silvia per una spedizione a caccia di un bar dove poter mangiare un panino sedute… impresa più… impossibile (orrore ma si parla così l’itagliano…:o) di quelle di Cruise…
nostalgia, nostalgia vera per la prima volta dopo anni che me ne sono scappata: che voglia dire qualcosa?
chubb
Fatalità, proprio ieri, fra acqua alta e firme storiche, credo che sia Venezia sia Roma fossero città piuttosto ostili a chi fosse disponibili alla trance metropolitana…
🙂
Vedo con piacere che ricorre la parola *meditazione* negli scritti di Luisa.
Che poi non è solo parola: un altro stato dell’essere che puo’ arricchire pure la scrittura :-))