“Tra un po’ si torna a scuola, chissà se si riuscirà a tener desta l’attenzione intorno alla nostra lingua. Magari giocando. La parola non è soltanto un segno che serve per comunicare, ma è anche fantasia, e un cumulo di ambiguità, per le evocazioni celate nel nucleo. Comportandosi come meccanici specializzati, si possono montare e smontare i pezzi, vedere come funzionano. E qui la grammatica della poesia è un buon campo d’esercitazioni. Non so se ancora si usa quel prezioso libretto di Ersilia Zamponi, I draghi locopei, che insegnava assai bene a giocare con le figure della retorica, con le metafore, a costruire immagini strane, poetiche…”
Lo scrive oggi Gianluigi Beccaria nel suo “Parole in corso” sul Tuttolibri della Stampa. Già, me lo domando anch’io. Perché quel bellissimo libretto ha insegnato a me tantissime cose sulle parole e le loro infinite possibilità. Molto di più di tanti costosi libri sulla comunicazione.
Sono andata a scovarlo nella mia libreria e l’ho sfogliato dopo tanto tempo. E’ un libro, e insieme una scatola di giochi. “Draghi locopei” è l’anagramma di “giochi di parole”, giochi inventati dall’insegnante Ersilia Zamponi e dai suoi allievi nella scuola media di un piccolo paese sul Lago d’Orta nei lontani anni 80.
La scatola contiene: anagrammi da fare con il proprio nome e cognome, indovinelli, scarti, zeppe, cambi, falsi, catene, acrostici, figure retoriche, slogan pubblicitari… sotto il segno di Rodari e Queneau.
Nelle nostre librerie, diventate ormai dei supermercati che hanno solo i libri dell’ultimo anno, è difficile trovare i “draghi”, ma sulle librerie online il libro c’è e si può avere in un paio di giorni. Insieme all’altro piccolo capolavoro della professoressa Zamponi, Calicanto, manuale di poesia per i più piccoli.
I draghi locopei è uno dei miei libri preferiti. Lo rileggo ogni tanto e lo uso talvolta in classe (è uno degli spunti per la combinatoria). Sono contenta della bella recensione che hai scritto.
You’re a real deep threnki. Thanks for sharing.
Bellissimo libro. Anche se esula dall’italiano, ti segnalo l’articolo “Ma perché nel Nord Europa lo parlano tutti?”, a proposito della padronanza della lingua inglese. Ciao, Arnaldo
:-))))))
“Perché quel bellissimo libretto a insegnato a me tantissime cose sulle parole e le loro infinite possibilità.”… Ma non a scrivere “ha” per indicare la voce del verbo avere…
:-)))))
È certamente un digiterrorù
Grazie, ora correggo 🙂
Luisa