“I vocaboli sono come i mobili: non sempre quelli nuovi sono i migliori. L’antiquariato verbale, tuttavia, è una faccenda delicata. Alcune parole, infatti, sono soltanto vecchie, e conviene lasciarle dove sono. Altre, invece, conservano intatto il loro fascino e il loro vigore.”
Lo scriveva ieri sul Corriere della Sera Beppe Severgnini in un articoletto che completava la pagina dedicata alla nuova iniziativa editoriale del quotidiano: la pubblicazione in quattro volumi del dizionario della lingua italiana Sabatini-Coletti.
Severgnini invitava a consultare il dizionario per approfondire parole che magari sentiamo e leggiamo tutti i giorni, ma di cui ignoriamo con precisione origine e significato. Quali abulico, catartico, endemico, semantico. Ma anche ad usare, e ad accostare, sostantivi e aggettivi meno alla moda, che rischiamo di dimenticare. Non per una mania di conservazione, ma perché tutto ciò che devia dalla norma, dal già sentito – anche solo per un piccolo scarto – dà una scossa a chi ci ascolta o ci legge, lo costringe a prestarci attenzione.
Provate a dire “sono amareggiato” invece di “sono incazzato”, suggerisce Severgnini. “Non è escluso che qualcuno, dall’altra parte, si fermi a pensare”.
Io, a dir la verità, il vocabolario lo consulto molto poco. Più spesso la grammatica, per sciogliere dei dubbi. Ma quando lo faccio, non è tanto per controllare significati o per cercare sinonimi, piuttosto per lasciarmi andare a scoprire delle storie, come suggerisce Alessandro Lucchini nel capitolo “Dizionario: il supermarket delle idee” nel suo Business Writing.
Storie che spesso mi appaiono molto più interessanti di quelle fatte di avvenimenti e di date. Come la storia del verbo desiderare (de-sidus, sideris: “sentire la mancanza delle stelle”). Da quando la conosco, nostalgia e desiderio mi appaiono sotto forma di piccole esplosioni di materia lucente.
non so se dovrei perché l’italiano non è la mia madre lingua, ma mi permetto un commento: quando sono incazzata non sempre sono amareggiata. O mi sbaglio?
Neruda in un suo poema diceva:
Diccionario, no eres
tumba, sepulcro, féretro,
túmulo, mausoleo,
sino preservación,
fuego escondido,
plantación de rubíes,
perpetuidad viviente
de la esencia,
granero del idioma.
—
pure lo spagnolo non è la mia lingua, ma credo che sia facile da capire. E poi ci sono i dizionari 😉
Raquel
Assiderare=assumere il freddo delle stelle, considerare=scrutare le stelle e non un esercizio di razionalità.
Eh… interessante’sta faccenda delle stelle!
Questo spiega perche’ al cadere delle stelle si esprimono desideri.
Se non come usanza, almeno dal punto di vista verbale.
Ciao stellì 🙂
Ne parlavamo lunedì: io uso correntemente “casiliano”, “debbo”, “desueto” “spengere” e altri vocaboli o forme verbali per cui molti mi guardano stupiti. “Casiliano” l’ho usato in una riunione di condominio, che mi sembrava la sede più adatta…
Ciao, Arnaldo
Ha ragione Raquel: essere amareggiati è molto diverso da essere incazzati, c’è una sfumatura di rassegnazione in amareggiato mentre in incazzato c’è iuna sfumatura di rabbia! Comunque si deve stare molto attenti perché, se lo scopo è la comunicazione, si rischia di non essere capiti affatto. Una volta, in una classe normale, ho rimproverato vivacemente un gruppo di allieve e, per concludere, ho detto: <>. Qualche giorno più tardi si chiedevano ancora che cosa mai volevo dire con quella strana parola e, credetemi, spiegarlo non è stato facilissimo…
bisogna stare attenti allo scopo che ci si prefigge… l’importante è non essere volontariamente astrusi.
personalmente, trovo molto più interessante ascoltare una persona che parla in maniera forbita…