In Diario minimo, Umberto Eco si era già divertito a concentrare in pillole i classici della letteratura:
I Promessi Sposi: “una storia apparentemente popolare, a livello stilisticamente e narrativamente ‘basso’, di due fidanzati poveri che non riescono a sposarsi per le mene di un non so qual signorotto locale; alla fine si sposano e tutti sono contenti”.
Don Chisciotte: “la storia di un gentiluomo spagnolo e del suo servo che vanno per il mondo inseguendo fantasie cavalleresche.”
Orail classico in venticinque parole pare diventato una vera e propria mania.
Per esempio la Divina Commedia: “Fiorentino incazzoso, depresso per l’esilio, si fa un fungo allucinogino e si vendica immaginando suoi nemici all’inferno. Tutto finisce in gloria.”
Una riflessione di Stefano Bartezzaghi sull’arte della sintesi:
“Il contenuto linguistico è soggetto, per sua natura, a cicli di espansione e contrazione: e forse il vero problema non sta nella dimensione, ma nella tensione, non nel corto, ma nel teso”.
“Riassumere è esercitarsi su un’essenza del testo. Quando il testo è un grande classico della letteratura succede però che la sua essenza non è nell’ossatura ma, per dir così, nella muscolatura, nei suoi tessuti esteriori e interiori (grandi libri, grandi fibre). Il riassunto diventa allora una deformazione, gioiosa, giocosa. Riassumere è assumere che il testo letterario è un testo, una comunicazione di cui si possa scrivere l’object come fosse un’email.”
Siamo decisamente in un ciclo di contrazione del testo. L’autorevole quotidiano britannico The Guardian ha lanciato addirittura un concorso in cui si invitano i lettori a condensare in un haiku (poesia di 17 sillabe) una notizia del giorno. Libri in palio ogni settimana per il migliore haiku. Questo l’ultimo vincitore:
“Iraq deaths. Short war:
long battle. Too much oil for
these troubled waters.”
Ovviamente non si tratta, come si dice, di sintesi, ma di opere creative completamente nuove.
Non voglio discutere sulla faccenda corto/teso, troppo complesso e fuori dela mia portata.
Pero’ la pubblicità radiofonica con cui sono stati pubblicizzati “i classici” trovo che abbia il merito di aver fatto capire in pochissime parole, a folle grandi e distratte, almeno “di cosa” parlano quelle storie.
E piu’ sintesi di cosi’, raramente l’avevo sentita.
Lovemarks e quel che ne sta dietro in pubblicità sono patrimonio comune da almeno una decina d’anni. Credo che i fratelli Saatchi puntino a rinfrescare un’immagine di innovatori un po’ appannata nei confronti del pubblico più che dell’ambiente pubblicitario – forse i loro massicci investimenti in opere d’arte non pagano più, a tale scopo, oppure cercano di mettere il proprio marchio su di una prevedibile “spiritualità commerciale” che spazzerà quel che resta della new age quando l’Occidente vedrà scemare l’angoscia della guerra (speriamo presto). Un’operazione di fino, comunque, nonostante le apparenze.
Se tanto mi da tanto e i romanzi diventano brevi come poesie, cosa diventeranno le poesie?
Già mi immagino un revival dell’ermetismo in versione web del tipo:
“Ognuno sta solo sul web trafitto da un link:
ed è subito post.”
Ubik