Mi è sempre piaciuto condividere con altri la mia passione per le arti figurative. Davanti a un quadro devo aprire bocca e raccontare a chi mi sta vicino quello che so e quello che in quel preciso momento mi evocano le linee, le figure e i colori.
Posso fare tutto da sola, tranne andare a una mostra.
Ma quando il tuo interlocutore e accompagnatore ha solo tre anni e mezzo – “quasi quattro” precisa lui –, è tutta un’altra storia. Ti metti alla sua altezza e alla sua età e riscopri le cose sotto un altro punto di vista. O meglio, riscopri le cose e basta.
Lo porti a Fontana di Trevi e ti scordi il barocco romano perché sei tutta occupata a inseguire conchiglie, foglie, sassi e tartarughine lungo le rocce che scoppiano dal palazzo. Percorri via della Pilotta contando solennemente i passi che separano “i ponti di pietra” che collegano palazzi e giardini: il gioco è che siano sempre lo stesso numero esatto, sennò si torna indietro e si ricomincia. Nella Galleria Colonna, insegui i cerchi di marmo sul pavimento, col naso in su per ammirare contemporaneamente “il tetto di vetro”. A piazza Navona finalmente ti abbandoni, perché tutto torna: gli animali della Fontana dei Fiumi sono ordinati per continenti e miracolosamente stipati nell’isolotto di pietra in mezzo all’acqua.
Ma quando arriva la sera e il sonno si fa sentire, il piccolo catalogatore non ce la fa più.
“Questo è un disegno astratto!”
“E perché?”
“Perché non ci sono le cose, solo i colori.”