Condivido ogni parola del piccolo trafiletto di Mauro Covacich sul Corriere della Sera di oggi, “In silenzio, sperando che le parole tornino a significare qualcosa”, a proposito del significato dei tre minuti di silenzio di mezzogiorno di ieri.
“Ogni parola ha un cuore di silenzio. La cassiera abbassa lo sguardo, appoggia la mano sulla testa del registratore, ferma la merce sul nastro, l’odiata merce, gli odiati beni di consumo. Il suo gesto si propaga nel supermercato. A suon di riprodursi, a suon di rincorrersi e di rimbalzarsi, le parole rischiano di non dire più niente. Hanno messo così tanto grasso intorno al cuore che sembrano prive di vita. Dichiarazioni, rivendicazioni, informazioni, slogan, controslogan. Parole spossate dalla grande abbuffata del Discorso Globale, umiliate da nuovi mezzi di comunicazione: tredici zainetti di materiale al plastico. La cassiera non sta semplicemente zitta, la cassiera sta in silenzio. E anche noi, qui in coda. Stare in silenzio è un’altra cosa. Il silenzio non è occidentale, né orientale. Il silenzio non ha accento, non ha inflessioni, ma è la condizione per tutti gli accenti e tutte le inflessioni possibili. In questo nostro silenzio non ci sono solo duecento vite diventate povera carne umana, c’è anche la possibilità di un ascolto originario, una specie di azzeramento totale, nella speranza che le parole tornino a significare qualcosa.
Forse questi tre minuti esprimono una forma ancora più profonda di ciò che chiamiamo raccoglimento. Se siamo raccolti in migliaia di posti di migliaia di città, forse non è solo per commemorare le vittime di Madrid, ma anche per ritrovarci tutti insieme in un orecchio puro, sottratto al chiacchiericcio e alla follia. E’ come se istintivamente avessimo capito che non sarà parlando tanto, e parlando e parlando ancora, che capiremo cosa ci sta succedendo. Il silenzio pulsa vivo nel supermercato. Sarebbe bello che da qui nuove parole sbocciassero – parole come fiori, diceva Heidegger -, che un nuovo alfabeto provasse ad articolare in un senso e in una cura la logorrea schizofrenica del mondo.”
Sì, meglio il silenzio. Oppure un pugno di versi, come quelli di Antonio Machado che mi ha inviato domenica l’amica Sabrina:
Madrid, Madrid; qué bien tu nombre suena,
rompeolas de todas las Españas!
La tierra se desgarra, el cielo truena,
tú sonríes con plomo en las entrañas.
Antonio Machado, 7 de Noviembre de 1936.
il silenzio – come il nulla – non esiste, oppure ci sono tanti tipi di silenzio, di rarefazione dei rumori, di concentrazione delle parole. oso aggiungere
Il silenzio è una qualità fondamentale che pochi riescono a trasformare in virtuosismo. Pensiamo alla musica; cosa mai sarebbe una partitura senza delle pause di silenzio collocate al posto giusto?