Roma, metropolitana A, ore 13.00.
Alla musica dentro i vagoni della metropolitana noi romani ci stiamo abituando. C’è di tutto: gruppi di violinisti tzigani, famigliole intere, ragazzi che nemmeno suonano perché accendono uno strano marchingegno con la musica registrata. A ogni fermata cambiano vagone.
Oggi è salito un ragazzino con la fisarmonica, accompagnato da una bambina piccola e bellissima. Uno sguardo intenso da grande, ma alta come un soldo di cacio. Magra magra, con pantaloncini a zampa di elefante e un’ombra di rossetto sulle labbra. Avrà avuto al massimo quattro anni e mezzo.
La musica è partita e lei si è messa a ballare in mezzo al vagone, piccola piccola e graziosa, su una musica latinoamericana tipo salsa, ritmando i suoi movimenti con il tintinnio delle monete nel bicchiere di cartone di MacDonald che teneva in una mano.
Mentre ci guardava ballando, ho provato a immaginare cosa vedevano quegli occhi, quale visione del mondo dovevano restituirle.
Vedevano facce stupidamente sorridenti (“che carina!), facce assolutamente indifferenti, facce vigliaccamente nascoste dietro un paio di occhiali o dietro un libro, come la mia.
Quando sono scesi, mi sono accostata al finestrino, in tempo per vedere – mentre il treno ripartiva – la bambina strattonata in malo modo lungo il marciapiede.
Roma, stereo acceso in macchina sulla via Flaminia, ore 20,10.
Capito sulla più diffusa radio cattolica italiana, quella che si prende dappertutto.
“Ciao, come ti chiami?”
“Matilde”
“E quanti anni hai?”
“Sette anni e mezzo”
“Che preghiera vuoi dire, Matilde?”
“Un’Ave Maria in latino”
“Prego, Matilde”
“Ave Maria
Gratia plena
Ave, ave dominus
Dominus tecum
Benedicta tu in mulieribus
…..”
“Brava Matilde”
“Posso fare un salutino?”
“Certo, chi vuoi salutare?
“Mia nonna: ciao nonna!”
“Passiamo a un’altra telefonata”.
Mentre arrivavo a casa, ho sentito almeno altri quattro bambini recitare alla radio le loro preghiere, tirandole tutte d’un fiato per non dimenticare neanche una parola, oppure con voce impostata, ma invariabilmente con salutini finali a parenti e amici.
Viviamo in una società mediatica: la recita di una preghiera, una poesia, una canzone da parte dei bambini era un rito tutto familiare, intimo, un’emozione al massimo da condividere con parenti ed amici, un’emozione semplice, umile, vera.
Oggi se non abbiamo l’illusione che questo rito di iniziazione non ha almeno qualche migliaio di ascoltatori o spettatori non siamo felici.
Una società spudorata….
Educazione.
Cara Luisa, ti candiderei, se esistesse, al “premio Flaiano”. un abbraccio.
spesso anche io cerco di immaginare cosa vedono gli occhi dei bambini…e non mi sento a mio agio nei panni della persona adulta..vorremmo comportarci nella maniera “giusta” ma quale è per loro?
è sempre un grande piacere leggerti…
Riproponi il tema dello sfruttamento dei bambini per la questua, contro cui si fa ancora troppo poco.
Quanto a Matilde e la società mediatica, vai al nostro post dell’8 marzo a vedere cosa fa Telekom Austria. Ciao, Ardovig
Beh, tecnicamente esiste https://www.premiflaiano.com/