Anni fa Minimum Fax ha pubblicato un libretto minuscolo in cui un giovane scrittore casertano, oggi piuttosto famoso, aveva raccolto metodi, tic e abitudini dei noti scrittori di oggi e del passato. Quando scrivono (o scrivevano), dove, che rituali hanno, se si fermano per mangiare o fumare, se scrivono sulla carta o sul computer, quale stanza prediligono.
Ho pensato a quel libro, stamattina, quando ho letto lo speciale che The Guardian ha dedicato al nuovo romanzo di Paul Auster, Oracle Night.
Auster vive in una casa lineare e semplicissima, senza una cosa fuori posto e in un quartiere di New York le cui strade sembrano ricalcare la geometria dei suoi libri. Dentro quella casa scrive per ore ogni giorno, senza muoversi:
“It still seems like a strange way to make a living, sitting alone in a room for long periods of every day, but that is literally where the work takes shape. I never go out looking for stories to tell; they grow inside me and become a weird compulsion. So, even though the story might change day to day, I know the characters really well, because I’ve carried them inside my head for years”.
D’altra parte, anche uno scrittore girovago come Sépulveda, quando degli amici gli fecero trovare nella loro casa uno studio con la scrivania che dava direttamente sul Mare Cantabrico, perché potesse scrivere meglio, si scusò e fece voltare la scrivania verso il muro bianco.
E che dire di Isabel Allende che si chiude in una stanza, accende una grossa candela e scrive senza alzarsi per ore finché la candela consumata finalmente si spegne?
Quando devi guardare dentro, come fai a guardare fuori?
cazzate… si scrive anche all’aperto…
questa mania di ammantare la scrittura di ritualistica…