Dico e scrivo sempre che lo scrittore professionale completo deve saper fare tutto: dal titolo di una brochure al metatag di una pagina web, dal testo di una presentazione a quello della relazione di un bilancio aziendale.
È la varietà che non ci fa addormentare, che ci fa arrovellare il cervello, che ci tiene desti il pensiero e l’attenzione.
È quella sanissima e provvidenziale sensazione di essere ogni tanto di fronte a qualcosa che non sappiamo fare, che dobbiamo finalmente inventare. È il passare, all’interno della stessa giornata, da un testo brevissimo a uno lunghissimo.
Ultimamente, anche grazie al blog, mi sono cimentata soprattutto con la sintesi e la brevità. Far stare tutto quello che devi dire in poche righe, ma poche righe leggere leggere, dal contenuto concentrato e dalla forma tersa. Stringere i periodi, sforbiciare le parole, ma non il pensiero né le sensazioni che vuole suscitare nei lettori.
Oggi sono immersa in un documento lungo e molto complicato, che mi chiede capacità diverse e presenta pericoli tutti suoi. Tra le prime: logica e organizzazione. Tra i secondi: perdere il filo, ripetere concetti, ma soprattutto cadere nella monotonia.
Logica e organizzazione si acquisiscono col tempo e ti soccorrono le scalette, le mappe mentali e mille altre cose utili. Ti aiutano anche a non perdere il filo e a evitare le ripetizioni.
Ma la monotonia dipende soprattutto dallo stile, dal “tuo” stile. Forse farà sorridere che io parli di stile a proposito di una relazione di bilancio di un un gruppo di aziende di informatica, ma se quel ritmo, quello stile, non lo trovi e non lo senti dentro di te, il tuo documento sarà piatto e noioso come la lista della spesa.
Devi lavorare sul ritmo delle frasi, non farle iniziare tutte nello stesso modo, alternare i suoni, spezzare i periodi, sorprendere non con una detonante sinestesia ma con un attacco diverso, con la familiarità delle parole quotidiane invece che con il linguaggio stereotipato che tutti si aspettano. Devi scrivere “quest’anno abbiamo esteso e arricchito le nostre attività” e non “le attività hanno assunto un interessante dimensionamento nell’ambito di”. Devi percorrere il crinale sottile tra la precisione delle parole e la ripetizione fastidiosa, attestarti su una ricerca non ossessiva dei sinonimi, cercare la variazione più nella sintassi che nel lessico.
Quando scrivi per la tua azienda, non lavori tanto di scalpello, quanto di lima. Lo scarto deve essere minimo, la variazione sostanziale ma impercettibile. Scrivi per informare e comunicare, non per sorprendere. Eppure quegli scarti, quelle lievi variazioni, ti riescono perché hai letto tante storie, tanti racconti, tante poesie (tutte cose che apparentemente non c’entrano niente). Perché hai imparato a “sentire” il suono di quello che scrivi e che qualcuno leggerà.
Il tuo obiettivo non è farti ammirare, ma far arrivare il lettore alla fine delle trenta cartelle senza la sensazione di aver letto trenta cartelle, ma di aver letto qualcosa di interessante senza troppa fatica.
È a questo che oggi pensavo mentre scrivevo le trenta cartelle. L’ho scritto subito per non dimenticarlo e per fare un break. È anche a questo che serve un blog.
Fine del divertissement, fine del break.
Torno alle trenta cartelle.
PS Che la poesia possa ispirare anche un serioso giornale economico, lo provano i sempre riusciti e mai banali titoli dell’Economist. Quello del dossier 2003 sull’information technology è addirittura miltoniano: Paradise lost. Confesso che non ho potuto fare a meno di scopiazzarlo pure io per la mia relazione (citando, ovviamente, la fonte “secondaria”).
“Quando scrivi per la tua azienda, non lavori tanto di scalpello, quanto di lima. Lo scarto deve essere minimo, la variazione sostanziale ma impercettibile.” Bel passaggio…
anche io scrivo in azienda (non è mia) e dico che scrivere non è una professione ma un’arte. La dote di inventiva e originalità senza travalicare vincoli e limiti del linguaggio “organizzativese” permette di essere immediati….e soprattutto compresi.
ciao
leggerezza e precisione caratterizzano la bellezza, anche se personalmente intruduco quasi sempre una dose massiccia di personale interpretazione della realtà.
quant’è bello parlare di qualcosa senza citare mai la parola specifica. ne seve solo una, eppure ne usi un’altra ottenendo un risultato identico ma sicuramente più evocativo.
mah.
Beh … speriamo che dopo tutta questa fatica qualcuno la legga questa benedetta relazione di bilancio !
è bello leggere di tanta consapevolezza e rispetto della parola scritta, com’è bello, sempre, leggere ciò che lei scrive.
Concordo pienamente (per quel che può valere). Come avvocato, posso confermare che lo stesso problema si pone (anche se può sembrare strano) anche nel redigere atti di causa. Almeno, io me lo pongo…
(Gioacchino / Zampirone) ***** PS Complimenti per il blog!