Ieri sera in treno leggevo le ultime pagine del libro-conversazione tra Arpaia e Sepúlveda. Dopo la letteratura e la politica, lo scrittore cileno parlava del suo rapporto con i diversi paesi in cui si è trovato a vivere e con le diverse lingue in cui parla e legge.
Mi sono molto riconosciuta nella sua valutazione della Germania e dei tedeschi, un paese tutto da scoprire e un popolo su cui pesano troppi pregiudizi e luoghi comuni.
E mi è piaciuto quel suo trovare la patria non in un paese, ma in una lingua: lo spagnolo. Lingua nata tra le montagne della Castiglia, ma vincente nel mondo perché non difensiva, ma “inclusiva”, accogliente, capace di adattarsi, di raccogliere mille varianti, di farsi sempre diversa restando se stessa. Pensavo a questo quando mi sono accorta di colpo che quella lingua inclusiva e dinamica mi stava circondando e cullando, e nella sua dolce versione latino-americana.
Nel vagone silenzioso si erano creati due capannelli vocianti: da una parte una vecchia signora che raccontava della Bolivia a una mamma circondata da bel po’ di bambini da zittire con infiniti cállate cállate, dall’altra un gruppo di ragazzi con la chitarra, che dalla conversazione sono pian piano passati al canto.
Ci siamo messi tutti a sentire quel concerto improvvisato mentre il treno correva nel buio lungo la via Flaminia.
parli spagnolo?
ciao 🙂
una bellissima poesia in dialetto siciliano di Ignazio Buttitta del 1970 parla esattamente della ricchezza e identificazione reali che la lingua può fornire al suo popolo. L’appartenenza. La poesia si intitola”Addutata di patri” ovvero “Avuta in dono dai padri”. Seppur meno efficace ve ne riporto un pezzo tradotto:”Un popolo mettetelo in catene,spogliatelo, tappategli la bocca, è ancora libero. Toglietegli il lavoro, il passaporto, latavola dove mangia,il letto in cui dorme, è ancora ricco.Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua avuta in dote dai padri:è perso per sempre. Diventa povero e servo quando le parole non generano altre parole(quannu i paroli non figghianu paroli) e litigano fra loro (e si màncianu ntra d’iddi).
Me ne accorgo ora, mentre accordio la chitarra del dialetto che perde una corda al giorno.”
*errata corrige:”Avuta in dote dai padri”…
Concordo pienamente nel reputare la lingua più familiare di un posto. Felice di avere scoperto per caso questo blog, a presto.
Molto bello (e utile). Grazie. L’ho letto stamani tra la mia sveglia e quella dei miei ospiti. Arnaldo
Anch’io ho da poco (quasi 4 anni) riscoperto la Germania, per via anche della mia ragazza. Ma è una felice intuizione nata tra i banchi di scuola sapendo che la cultura dell’ottocento e del primo novecento le apparteneva. Poi visitandola mi sono accorto di quanto apparentemente (và detto!) sembri ospitale nel suo grigiore da regione nordica ma quanto accogliente e (ahimè) americana nel sentire con uno scatto sempre propositivo.
Ciao Luisa