Ultimamente ho letto vari libri di scrittori che parlano del loro lavoro: Da dove vengono le storie di Kureishi, Lettere a un aspirante romanziere di Vargas Llosa, Il lettore allo specchio di Yehoshua. Ieri mi sono comprata Raccontare, resistere, una lunga conversazione di Bruno Arpaia con Luis Sepúlveda.
È un libretto fatto in economia, praticamente senza margini, ma di quelli che puoi stropicciare, leggere in metropolitana, buttarlo in borsa e farci pure le orecchie. Penso che Sepúlveda non sia un grandissimo scrittore, però i suoi libri sono piacevoli e lui una persona molto simpatica, con una vita avventurosa, che ha attraversato molti paesi e molte lingue.
Stamattina scendendo dal treno ho fatto l’orecchietta alla pagina in cui Sepúlveda racconta di come fa l’ultima revisione dei suoi libri: li legge tutti a voce alta, con un registratore davanti, dall’inizio alla fine, e poi si risente. Una conferma, per me, di come sia importante ascoltare il “suono” della parola scritta. Per uno scrittore di racconti e romanzi, ma anche per noi che scriviamo per lavoro.
“Li leggo per intero davanti al microfono e poi li riascolto: lì sì che ti rendi conto del vero valore delle parole… E’ come realizzare il vecchio desiderio di ogni scrittore, quello di avvicinarsi a una persona che non si conosce e raccontarle una storia, anche molto lunga. Il sogno di ogni narratore che si rispetti è quello di essere capace di mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore per tutto il tempo della storia. Se, quando registri e ascolti, senti che l’attenzione cade, vuol dire che nel libro la tensione cade dieci volte di più, perché la parola scritta non ha la vitalità del racconto orale. Quella è la correzione definitiva, quella che non mente. Se correggi sul testo scritto, tu stesso finisci per lasciarti incantare dalle parole che hai usato o dallo sviluppo che ha preso un’idea, ma il momento della verità, l’ora fatidica, las ‘cinco de la tarde’, viene quando ascolti.”
Io il registratore sul lavoro lo uso soprattutto per registrare conversazioni e riunioni o fare interviste a colleghi, un grande aiuto nel caso di argomenti nuovi o complicati. Registrare mi permette di non prendere appunti, ascoltare meglio, guardare il mio interlocutore, concentrarmi sull’argomento. Poi riascolto, sbobino, scrivo e riscrivo.
Si tratta di due procedimenti speculari: registrare una lettura e registrare un dialogo (o monologo). Il secondo l’ho praticato a lungo all’università, accorgendomi come, fuori contesto, occorresse molto lavoro per rendere intelligibili certe affermazioni dei professori (che non sono generalmente gente confusa o incapace di argomentare). Ma registrare la lettura di ciò che si è scritto e poi riascoltarsi, questa non la conoscevo, anche se l’idea del racconto scritto quale “oralità” mi ha sempre affascinato. Insomma, per un dilettante ci vuole un bel po’ di tempo, se dovessi (?!) diventare un professionista della scrittura creativa (strano ossimoro) probabilmente farei come Sepulveda, mi sembra un bel modo di controllare e controllarsi.
[…] sono sempre stata una fautrice della rilettura ad alta voce come editi. Però questi giorni in cui ho dovuto rileggere decine e anche centinaia di pagine, […]
[…] sono sempre stata una fautrice della rilettura ad alta voce. Però questi giorni in cui ho dovuto rileggere decine e anche centinaia di pagine, per di più […]