Oggi la mia veloce navigata mattutina per scoprire cosa c’è di nuovo sui miei siti e blog preferiti mi ha portato rapidamente sul bel post di Mantellini dedicato a Giorgione.
Mantellini mi piace perché, al contrario di me, dice rapidamente quello che pensa e non la tira tanto per le lunghe. Invece il post su Giorgione e il suo I tre filosofi è particolarmente lungo: ma tanto ci voleva per esprimere la scoperta di quanto può essere profonda e a volte insondabile la bidimensionalità della pittura.
Mentre leggevo sorridevo e pensavo quanto sia stato importante anche per me l’incontro con Giorgione.
Il primo anno di università vagavo per la facoltà di lettere molto indecisa sulla specializzazione da prendere. Andavo ad “assaggiare” un sacco di lezioni, dalla letteratura alle lingue, dal teatro all’archeologia. Poi un giorno entrai nell’aula buia dell’istituto di storia dell’arte: c’era un docente con un gran barbone – quell’Augusto Gentili che Mantellini cita nel suo post – e dietro di lui la diapositiva di un quadro misterioso e bellissimo, La tempesta di Giorgione.
La lezione durò un paio d’ore, il mistero non fu svelato, ma quel paesaggio umido e tempestoso, abitato da quegli strani personaggi, mi attrasse per sempre nel suo cerchio e in quello della pittura: la pioggia mi rimase addosso, il rumore del tuono rimbombò nella mia testa per giorni, e così la domanda su cosa ci facesse quel soldato rosso così tranquillo in mezzo alla tempesta, e così lo sguardo insistente della donna nuda che allattava il suo bambino in mezzo al prato.
Uno sguardo che avrei ritrovato nei personaggi di un altro pittore misterioso e amato: Vermeer. Paesaggi aperti in Giorgione, stanze chiuse in Vermeer. Ma lo stesso mistero, la stessa scarsissima e preziosa produzione, la stessa luce che fonde cose e persone, gli stessi protagonisti muti ma interroganti.
“Un quadro può essere meglio di un film”, commenta Mantellini, e ha ragione. Può essere anche meglio di un libro, oppure contenerlo. Un quadro di Vermeer, La fanciulla con l’orecchino di perla, ha ispirato un libro dal ritmo lentissimo ma incantatore.
Ma in fondo ho sempre avuto l’impressione che quella fanciulla col turbante, che si volta improvvisamente come se fossimo stati proprio noi a chiamarla, ci guardi così perché ha voglia di raccontarci una storia.