Il 22 novembre di 40 anni fa, nel tardo pomeriggio, stavo mangiando presto nella cucina di mia nonna.
Eravamo tutti intorno al tavolo, tre generazioni. Senza televisione – nelle nostre austere case sarebbe arrivata per scelta solo alla fine degli anni Sessanta –, chiacchierando del più e del meno. Probabilmente tutta la mia attenzione era concentrata sulla pappa. Fu un grido improvviso del mio giovanissimo zio, attaccato alla radiolina con il suo auricolare, a scuotermi e a farmi capire che era davvero successo qualcosa di serio: “Hanno sparato a Kennedy!”.
Tutti smisero increduli di mangiare, si agitarono moltissimo e nessuno fece più caso a me. Che invece sapevo benissimo chi era Kennedy: il presidente degli Stati Uniti, la cui grande foto con il ciuffo al vento e la figlia Caroline occupava l’intera porta della camera da letto dello zio. Era una delle favole che mi raccontavano per farmi dormire: il bel presidente, la moglie elegantissima, i due deliziosi bambini.
Quella sera, in cucina, capii da sola che non era solo una bella storia, ma che esisteva anche “la storia”, quella che aveva luogo nel mondo, oltre le pareti della mia casa. Una storia cui partecipai seria e compunta in tutti i giorni successivi, guardando le immagini in bianco e nero dei quotidiani e quelle a colori di Epoca: la macchina, la strada di Dallas, Jacqueline in rosa che afferra il corpo del marito, Caroline con il cappottino corto, John John che fa il saluto militare, la bara con la bandiera sul carro di legno, Arlington.
Avevo quattro anni e mezzo.
PS Oggi su internet ho ritrovato quella foto rimasta nella mia memoria per anni, forse il mio primo consapevolissimo ricordo di bambina.
La storia con la s maiuscola entra nelle case e qualche volta anche nella testa dei bambini che vi abitano. Forse, per quei bambini, quei ricordi rappresentano una specie di scena primaria con cui misurare gli eventi storici futuri e il proprio rapporto con la politica. Sarebbe interessante approfondire e conoscere quali altri eventi sono entrati nelle nostre case quando eravamo bambini e ci hanno segnato per sempre. Per me che sono del 1969, la scena primaria è il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. Come dire che il mio ingresso nella storia e nella politica è avvenuto nel segno della fine definitiva e inappellabile del sogno di cambiare il mondo che ha caratterizzato la stagione del ’68.
Bellissimo… nella sua immensa tristezza.
Anche per me, del ’67, il primo ricordo è stato il caso Moro, e poi l’attentato alla stazione di Bologna. Ero grandicella, leggevo il Corriere e ricordo atmosfere tristissime in giro per casa…
Urp, non volevo far l’anonima. Sono Alliandre 🙂
E’ un po’ che vivo “senza pelle”, conle cose che colpiscono ogni volta la carne viva… insomma,sonopiù sensibile che in altri tempi… Questo per giustificare, in piccola parte, il brivido e poi la lacrina che mi attraversano mentre leggo e poso, gli occhi, con finta distanza, su una foto che per molti è stata l’icona di un sogno…
Michele