iRoma, 24 settembre 2003, ore 20.45, treno urbano da Piazzale Flaminio verso la periferia nord.
Il treno affollatissimo che prendo la mattina è semivuoto. Siamo tutti stanchi, silenziosi e un po’ assonnati.
Sale un ragazzo molto dimesso, sporco di cantiere, con uno zaino sulle spalle, e viene a sedersi accanto a me.
Ormai riconosco il genere: sono gli uomini dell’est europeo che la mattina salgono sullo stesso treno, appena un po’ più puliti, ma non tanto, e poi scendono per andare in punti della città che ormai conosciamo tutti. Lì si affollano a decine ad aspettare il caporale metropolitano che li carica su un camion per portarli nei cantieri dove lavoreranno un’intera giornata in nero, senza sicurezze, per pochi euro.
Mi dicono che non sempre il caporale passa. A volte non passa, il più delle volte ne carica soltanto alcuni.
Il mio vicino si siede, apre lo zaino e tira fuori un libro, nuovo e pulitissimo. Non resisto e guardo la copertina: L’italiano da soli. Lo apre con cura e se lo sistema sulle ginocchia. Poi tira fuori un quaderno a quadretti, una penna e si mette a fare i compiti.
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24 Settembre 2003
fa male per quanto è bella questa immagine. Quante volte ho preso lo stesso treno diretta a casa di un amico.. ma da oggi saranno due i ricordi legati a quel tratto in treno, troppo breve per essere chiamato viaggio 🙂 ciao
bellissima e struggente l’immagine del ragazzo sporco di cantiere che studia L’italiano da soli
Hai commosso anche me.
Capitava anche a me nel 1985, prima del ribatone della SFR di Jugoslavia attraversando Lubiana per recarmi a Zagabria (all’epoca l’autostrada finiva a Lubiana), di vedere gli operai assonnati e in tuta da lavoro alle fermate d’autobus. “Che tristezza, questa realtà socialista” era il mio commento di allora, finché non pensai che anche i nostri Cipputti aspettano l’autobus, ma si mettono in tuta in officina. Ora, vent’anni dopo passo ogni mattina in una piazza della mia città, che è definita a rischio perché è il ritrovo dei serbi (sui tavolini del bar trovi in vendita il giornale in cirillico, e colloquialmente è chiamata Piazza Belgrado), in attesa del caporale di turno…
Quando lavoravo a Scandicci (Firenze), uno degli operai conquistò la terza media alle serali studiando come il ragazzo che descrivi tu, in treno ed autobus tra il paese di Borgo San Lorenzo a Scandicci.
Come vedi non è cambiato molto, salvo i protagonisti.
Ciao, Arnaldo
L’italiano “da soli”.
Un titolo che è tutto un programma.
E’ una cartolina triste, quella che ci hai mandato questa volta, però non posso fare a meno di ammirare l’uomo che ti sedeva accanto per la sua perseveranza.
La linea del caporalato ha una fermata vicino casa mia (Roma sud) e li vedo anche io, in attesa di sbarcare il lunario per la giornata.
Non mi interessa parlare di politiche, qui.
Dico solo che -umanamente- non è un bello spettacolo.
Pasquale
prima del ribatone della SFR di Jugoslavia? Siamo in Italia e le cose si mettono sempre peggio anche per noi italiani! Oggi si parlava tra amici del nostro futuro a bologna: due dipendenti dell’omnitel non possono metter su famiglia per il prezzo dela vita bolognese! Almeno a bologna c’è lavoro. Nel casertano ragazzi di venticinque anni lavorano da interinali. Si, ma gli viene dato un lavoretto in fabbrica di tre giorni per sostituire un lavoratore più fortunato che può permettersi qualche giorno di malattia…Un commento? Speriamo vada meglio tra qualche anno!
Quando pendolavo tra Milano e Torino condividevo spesso l’interregionale con le prostitute africane che battono a Novara e a Vercelli. Avevo fatto amicizia con qualcuna di loro aiutandole a fare i cruciverba, fatti apposta – ma pensa te – per imparare più parole italiane possibili.
I figli di questo signore saranno la nostra classe dirigente di domani? Mi piacerebbe incontrarlo e dirgli che c’è un gruppo di persone che si è commosso leggendo le belle parole che hai scritto per raccontare la durezza della sua vita quotidiana. Mi piacerebbe fargli sapere che in questo paese c’è anche gente che verso di lui ha sentimenti di rispetto e non solo di diffidenza e intolleranza.
hai descritto questo episodio con una chiarezza dura, semplice…forse per questo genera tanta commozione…è così vera!
L’italiano da soli…mi verrebbe da dire gli italiani soli. Grazie per lo spaccato di realtà e per l’immagine di speranza.
l’italiano secondo noi stessi. tutte le volte che ho scritto e utilizzato le lettere con altro fine al di fuori dela comunicazione, c’e’ da star male e uscire di casa a fare due passi. la felicit’ e’ fatta di parole, soprattuto, mi sembra di averne inventate molte ed ora non riesco a uscirne
Un’immagine chara, netta,triste.
Mi ha fatto tornare in mente un film molto bello: Brucio nel vento di Silvio Soldini.
L’immagine che ho visto leggendo queste parole è grigia e bianca, come i colori prevalenti nella fotografia di quel film.
Grazie per questo racconto. Forse è ora di ripensare a don Milani, a “Lettere ad una professoressa”, perchè il proletariato rurale di allora ha molte similitudini con gli immigrati che incontriamo, e l’istruzione per tutti è messa a dura prova dal Ministro Moratti
Negli immigrati che incontriamo ogni giorno c’è l’immagine dei nostri padri, costretti a emigrare all’estero in cerca di una vita migliore per loro stessi e per le loro famiglie. Non ci farebbe male ripensare alla loro solitudine, alle umiliazioni subite perchè immersi in una cultura diversa e spesso tanto lontana dalla propria.
ciao,
Barbara
Una volta c’erano il tram con il suo allegro sferragliare e la filovia che ogni tanto nelle curve si staccava dalla rete aerea; si saliva dalla porta posteriore e si scendeva da quella anteriore.
Quando si formavano capannelli di persone il fattorino gridava: “Passare avanti” in sinergia con il conducente (che come recitava l’avviso non bisognava disturbare) che frenava un po’ facendo avanzare per forza i passeggeri, e il fattorino concludeva l’operazione: “Grazie signori!”.
Ora ci sono gli autobus con i biglietti preacquistati e da obliterare (mai parola fu tanto discussa!, “il passeggero è tenuto ad obliterare – papà, cosa vuol dire obliterare? – il titolo di viaggio non appena salito in vettura”, papà, come faccio se l’autobus è pieno?) e il bigliettaio con cui alcuni avevano finito per familiarizzare Buon giorno, buonasera, come sta, c’è molto traffico oggi per strada? non c’è più.
Gli autobus sono comunque rimasti dei luoghi di aggregazione sociale, in particolare per i giovani senza motorino e per gli anziani, un po’ come il muretto e le sale d’aspetto dei medici della mutua.
Dov’è, infatti, che i ragazzi copiano i compiti di mattina prima di entrare a scuola, se non in autobus?
È in autobus che di mattina si assiste ai più feroci scontri generazionali con scambi di opinioni sugli zaini. È in autobus, e non dai giornali, che coloro che abitano vicino ai capilinea hanno notizie fresche del proprio rione, non origliando ma subendo i discorsi degli altri viaggiatori “Maria è partita; Giovanni è in ospedale; ha sentito della rapina all’ufficio postale?, che spavento!, stamattina ero in fila proprio là; mi saluti tanto la Sua signora”.
Poi sono arrivati gli autobus a due piazze, quelli lunghi con la pedana in mezzo che se non stai attento ti gira la testa, e fin qua tutto come prima; se non fosse che a bordo hanno istallato la televisione, che trasmette il notiziario Ansa, il meteo, la pubblicità e l’oroscopo.
Quindi, alla classica domanda: “Scusi, scende alla prossima?”, è probabile che qualcuno risponda: “No, tiro dritto ancora un po’ perché voglio vedere cos’ha fatto la Juve”, o cose del genere.
Dopo l’incomunicabilità domestica, ecco servita l’incomunicabilità stradale! Speriamo di sopravvivere.
Ciao, Arnaldo
non ho sentimenti,è come se l’aria non esistesse, perchè è da fuori che uno avverte subito il cambiamento
Brividi…